Che i problemi della valutazione coinvolgano profondamente chiunque, in un modo o nell’altro, sia interessato all’attività educativa è del tutto comprensibile. E non è qualcosa che avvenga solo in Italia. Anche se spesso le polemiche si rinfocolano in concomitanza con interventi, o annunci d’interventi, che confliggono con le interpretazioni e gli atteggiamenti individuali o di gruppi, la reattività ha origine dall’interiorizzazione di esperienze educative che, proprio in relazione al modo in cui sono state valutate, hanno assunto determinate caratteristiche ed hanno finito col segnare la rappresentazione dei fenomeni educativi. Quello della valutazione è dunque un problema nei confronti del quale ovunque si manifesta interesse. Il fatto è, tuttavia, che quando in Italia ci si confronta sulla valutazione si rivelano limiti culturali che sono propri delle condizioni che hanno caratterizzato lo sviluppo del nostro sistema scolastico. Sono limiti che hanno come conseguenza la riduzione del significato della valutazione all’apprezzamento delle conoscenze acquisite dagli allievi, o comunque a tratti del loro comportamento strettamente riferiti all’esperienza scolastica. In breve, siamo di fronte a una sineddoche: un concetto in sé molto esteso perché suppone sia preso in considerazione un gran numero di dimensioni è impoverito dei significati necessari per conferirgli una valenza interpretativa che superi l’autobiografismo e le argomentazioni di senso comune che ne derivano. Alla base di una simile nozione diminuita della valutazione c’è una logica interpretativa che si limita ad associare la qualità dell’apprezzamento che si esprime nei confronti delle conoscenze acquisite a scuola da un lato alle caratteristiche personali degli allievi, dall’altro alle proposte di educazione formale che a essi sono state rivolte in luoghi e tempi determinati. Non c’è bisogno di richiamare le indicazioni della ricerca che nel corso del Novecento hanno progressivamente disgregato il recinto angusto entro il quale si pretendeva di relegare l’istruzione scolastica. Ormai nel dibattito internazionale non si può più parlare di valutazione senza riferire gli oggetti dell’attenzione a un complesso reticolo di interazioni. Si guarda all’educazione come a un sistema, a una rete la cui geometria può essere modificata agendo su uno qualunque dei nodi che collegano tra loro i diversi elementi. Di conseguenza, se consideriamo un aspetto specifico (per esempio, il livello degli apprendimenti in matematica) non possiamo limitarci a prendere atto del risultato che gli allievi hanno conseguito, dopo che per un certo tempo hanno partecipato ad attività rivolte a conseguire un determinato intento. L’interpretazione valutativa consisterebbe, infatti, nello stabilire una relazione lineare tra proposta e risultato di apprendimento, e la variabilità degli effetti sarebbe completamente spiegata da poche variabili, come l’attitudine e la motivazione di chi apprende e la qualità dell’istruzione di cui ha fruito. Basterebbe riflettere sulle trasformazioni che hanno caratterizzato lo sviluppo della scuola italiana nel corso del Novecento per rendersi conto che le interpretazioni fondate su relazioni lineari possono essere facilmente smentite. Il principale fattore dinamico dello sviluppo scolastico è stato a lungo rappresentato dall’attesa del beneficio che si sarebbe tratto dall’istruzione. Tale attesa era accreditata da atteggiamenti sociali favorevoli, che facevano considerare importante l’impegno nello studio. In altre parole, gli esiti dell’educazione scolastica erano spiegabili solo con riferimento a fattori esterni ad essa. La nostra scuola, in particolare a partire dagli anni sessanta, ha avuto una crescita rapidissima, alla quale tuttavia non ha corrisposto la revisione dei modelli interpretativi. Si sono continuati a utilizzare i modelli preesistenti senza considerare la necessità che qualunque innovazione avrebbe richiesto di rivedere proprio quei modelli. E ciò non poteva essere fatto se non promuovendo la ricerca, per individuale e spiegare i cambiamenti in atto nel sistema educativo. Non è una soluzione quella di assumere, sic et simpliciter, modelli elaborati in contesti diversi per compensare l’imbarazzante assenza di una conoscenza originale, derivante dalla continuità dell’impegno per l’analisi della realtà educativa. Oggi sappiamo che la motivazione ad apprendere degli allievi non è esaltante, che gli insegnanti sono spesso frustrati, che le scuole mancano del necessario per organizzare la loro attività, che i mezzi di comunicazione diffondono una cultura alternativa (e spesso conflittuale) rispetto a quella scolastica e via elencando. Ma non sappiamo in che modo questi fattori interagiscono fra loro, e quanta parte del risultato scolastico possa essere riferita ad essi. Eppure, è proprio ciò che sarebbe necessario sapere per dare un nuovo indirizzo all’educazione scolastica. È questa la valutazione che serve, e della quale in Italia non c’è traccia.
L’Unità 19.09.13