attualità, politica italiana

“Al pettine i nodi politici di vent’anni”, di Giovanni Orsini

La Corte di Cassazione, al termine di un contenzioso giudiziario durato anni e passato attraverso innumerevoli meandri, ha confermato ieri la condanna a Fininvest a pagare una cifra di circa mezzo miliardo di euro alla Cir di Carlo De Benedetti, come risarcimento per la vicenda del Lodo Mondadori. La notizia è uscita proprio mentre si attendeva che Berlusconi diffondesse un messaggio che, stando alle voci, avrebbe avuto un robusto contenuto politico e forse condizionato in profondità il futuro dello schieramento di centro destra. E oggi, infine, la questione della decadenza di Berlusconi da senatore, a motivo di un’altra condanna ottenuta anch’essa non come politico ma come imprenditore, affronterà il passaggio decisivo in giunta al Senato.

La confluenza di questi tre avvenimenti rafforza sempre di più l’impressione, viva da almeno un mese e mezzo, che nell’attuale sfortunatissimo torno di tempo siano venuti al pettine tutti o quasi i nodi politici irrisolti degli ultimi vent’anni. Una sorta di «tempesta perfetta». Fra i nodi più ingarbugliati troviamo naturalmente il conflitto di interessi: l’anomalia macroscopica di un imprenditore – e imprenditore televisivo! – di grossissimo calibro che si trasforma dalla sera alla mattina in un leader politico di calibro altrettanto rilevante, e lo resta per vent’anni. Sebbene occupi una posizione senz’altro centrale nel groviglio italiano, tuttavia, il conflitto di interessi non rappresenta un nodo, per così dire, primario. Pur essendo del tutto anomalo, insomma, non crea lo stato di anormalità (pure se, certamente, lo aggrava), ma deriva a sua volta da un evento anomalo precedente.

Ossia da Tangentopoli. Dall’improvviso e fragoroso collassare, privo di precedenti storici o di alcuna corrispondenza altrove in Europa, dei partiti di governo sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Partiti per altro che – lo si rammenti – ancora nell’aprile del 1992, un mese e mezzo dopo l’arresto di Mario Chiesa, erano riusciti a raccogliere milioni e milioni di voti. È stata Mani Pulite l’anomalia primaria che, aprendo una voragine paurosa sul centro destra del sistema politico italiano, ha reso possibile � �� potrebbe quasi dirsi, come fosse un buco nero, «risucchiato� � – l’anomalia secondaria berlusconiana. Le risorse del Cavaliere hanno così preso a svolgere una funzione straordinaria di supplenza in un’area politica rimasta ormai pressoché deserta. E gli elettori di centro destra – o forse meglio: quelli che non erano disposti a votare a sinistra – hanno accettato volenti (molti) o nolenti (non pochi) questa supplenza anche perché non avevano alternative. Dal 1994 a oggi insomma il centro destra italiano, che ha rappresentato milioni e milioni di elettori, ha vinto tre elezioni e governato il paese per quasi dieci anni, è potuto esistere unicamente grazie al conflitto di interessi. Una frase quest’ultima dalla quale, al solo leggerla, è possibile misurare tutta l’assurdità della situazione italiana.

Ma la conclusione (provvisoria?) della vicenda giudiziaria del Lodo Mondadori è emblematica per almeno altre due ragioni. Innanzitutto perché, affondando le radici in un epoca precedente a Mani Pulite, ci spinge a portare il ragionamento su un tempo ancora più lungo. E a riconoscere come la stessa Tangentopoli sia scaturita da cause ancora più antiche: ossia da una profonda crisi di coerenza, visione, determinazione, capacità progettuale della politica, che affligge la nostra repubblica da ormai molti decenni. Una crisi che la pervasività della politica nella società e nell’economia italiane ha reso ancora più grave, che Tangentopoli ha a sua volta notevolmente aggravato, e soprattutto che nessuno negli ultimi vent’anni è riuscito minimamente ad affrontare. Col risultato che la politica oggi è terribilmente fragile, forse più che mai, nuda e indifesa di fronte ai venti che soffiano da luoghi non politici – i tribunali, i media, le aziende.

La conclusione della vicenda Mondadori è emblematica, in secondo luogo, perché in questo caso la sconfitta di Berlusconi si specchia direttamente nella vittoria di De Benedetti. Ossia del gruppo editoriale l’Espresso. Ossia del più importante esponente mediatico dell’antiberlusconismo politico, saldamente collocato nel campo del centro sinistra e convinto sostenitore dell’operato dei giudici. Il tramonto del Cavaliere, se lo si guarda da questa punto di vista, non rappresenta un problema soltanto per il futuro centro destra, ma anche per il futuro centro sinistra. Che, una volta privato dell’identità e del collante antiberlusconiani, dovrà decidere quale nuova identità darsi, quale nuovo collante trovare. E soprattutto dovrà decidere se e come dare risposta alla crisi della politica della quale si diceva prima. La crisi per cui la politica si trova subordinata alle aziende. Ma anche ai media. E ai tribunali.

La Stampa 18.09.13