attualità, politica italiana

“Il Belpaese in bilico”, di Ilvo Diamanti

È senza maggioranze e senza certezze politiche, l’Italia di oggi.
Forse, non solo da oggi. Un Paese “in bilico”, l’ha definito Enrico Letta. A ragione. Perché si muove in equilibrio instabile, non solo di fronte alle tensioni globali. Anche di fronte ai problemi nazionali.
Il sondaggio di Demos, condotto (per la Repubblica) nei giorni scorsi, riproduce in modo fedele questo Stato di Emergenza. Dove le “larghe intese” sono divenute la regola. L’unica soluzione possibile per comporre un elettorato diviso in tre grandi minoranze. Fra loro in-coerenti e poco compatibili. Le stime delle intenzioni di voto, oggi, d’altronde, riproducono fedelmente gli orientamenti emersi alle elezioni politiche di febbraio. Il Pd, con il 28%, circa, supera di poco il Pdl (26%). Segue il M5S, intorno al 21%. L’equilibrio tra i partiti appare, di nuovo, rilevante. E inquietante. Nulla che faccia presagire, in caso di voto anticipato, la vittoria chiara di uno schieramento. D’altronde, oggi sarebbe difficile immaginare anche quali coalizioni si confronterebbero. L’esperienza delle grandi intese (obbligate) ha inciso sulle preferenze degli elettori. Metà dei quali è soddisfatto dell’attuale governo. (E quasi il 60%, secondo l’Ipsos, valuta positivamente Enrico Letta, come leader.) Ma il sostegno al governo cresce sensibilmente fra gli elettori dei partiti della maggioranza. Sale al 60%, nella base elettorale del Pdl, al 74% (cioè 3 elettori su 4) nella base del Pd e all’80% in quella dei partiti di Centro. Peraltro, il governo piace anche a gran parte degli elettori della Lega. Per cui, le uniche componenti insoddisfatte sono costituite da Sel e la Sinistra. (Il cui distacco
dal Pd è, quindi, cresciuto.) E, soprattutto, dagli elettori del M5S. L’80% dei quali esprime un giudizio negativo sul governo. Il M5S, d’altronde, appare tutt’altro che finito. Alle amministrative ha pagato il limitato grado di radicamento e di presenza sul territorio. Ma su base nazionale sembra ancora capace di canalizzare la protesta dei cittadini. Che resta ampia. Come dimostrano, oltre al peso elettorale del partito guidato da Grillo, anche l’incidenza dell’astensione e dell’incertezza. Superiore a un terzo degli elettori.
Enrico Letta, dunque, guida una maggioranza divisa, più che condivisa. Animata da spirito di necessità più che da reciproca fiducia. La decadenza di Berlusconi, su cui si esprimerà la Giunta del Senato mercoledì prossimo, non a caso, è ritenuta conseguenza automatica di una legge, dagli elettori del Pd, del Centro, ma anche di Sel e del M5S. Mentre è considerata il “tentativo di eliminare un avversario politico” dalla quasi totalità degli elettori del Pdl – e della Lega. Tuttavia, anche se Berlusconi venisse sanzionato dalverno
la Giunta, la maggioranza degli elettori sia del Pd che del Pdl vorrebbe proseguire nell’alleanza. Nonostante tutto. Anche se, dal sondaggio di Demos, emerge una larga disponibilità a cercare l’intesa fra Pd e M5S, fra gli elettori dei due partiti. Per formare una nuova e diversa maggioranza. Soprattutto nel caso che il governo cadesse e, come chiede la maggioranza degli italiani, si dovesse procedere a nuove elezioni. Tuttavia, in questo caso, cambierebbe poco, visti gli orientamenti di voto, simili a quelli emersi alle elezioni dello scorso febbraio. Anche se, ovviamente, potrebbero cambiare, in futuro. In seguito al destino di Silvio Berlusconi. E, ancor più, dopo le primarie e la scelta del segretario del Pd.
In questo momento, comunque, il governo, secondo gli italiani, appare destinato a durare. Sicuramente, fino a fine anno (57%). Ma, probabilmente, anche di più. Oltre 6 mesi o perfino un anno (40% circa).
La forza di Enrico Letta, dunque, sembra dipendere, soprattutto, dalla debolezza degli altri soggetti politici. I partiti della maggioranza – compreso il Pd, di cui egli fa parte. Ma anche quelli dell’opposizione. Lo stesso M5S. Abbastanza forte da esercitare pressione fuori e dentro il Parlamento. Ma non al punto di proporre un’alternativa. Anche perché al suo “portavoce”, Beppe Grillo, non interessa. Non intende promuovere – o partecipare ad – alleanze diverse. Mentre i suoi elettori, in maggioranza (40%), pensano che il successo del M5S dipenda principalmente dalla protesta contro tutti i partiti. Dunque, meglio lasciare ad altri il compito di affrontare i rischi e i costi dell’impopolarità, che derivano dall’impegno di governare. Per questo Enrico Letta può proseguire la sua opera fra molte difficoltà, ma anche con molte possibilità di resistere. Perché le elezioni non sembrano dietro l’angolo. Nessuno, degli alleati, pare disposto ad affrontare le conseguenze di una crisi di governo. In piena emergenza economica. In uno scenario internazionale attraversato da venti di guerra.
L’unico che potrebbe avere interesse a voltare pagina, in effetti, è Matteo Renzi. Compagno (si fa per dire…) di partito di Letta. Un terzo degli elettori, infatti, lo vorrebbe futuro premier. Primo, fra i candidati proposti dal sondaggio agli intervistati. Supera di molto Enrico Letta (17%, al secondo posto, per numero di preferenze). A maggior ragione gli altri. Tuttavia, essere indicato da un terzo degli italiani costituisce un risultato significativo, ma non un plebiscito. Anche perché Renzi è largamente superato da Berlusconi (ma anche da Alfano), fra gli elettori del Pdl. E da Monti, fra quelli del Centro. Mentre è nettamente primo, con circa metà delle preferenze, nella base del Pd (dove, tuttavia, Letta ottiene quasi il 29%). Ma anche fra gli elettori del M5S. Con oltre il 40% delle indicazioni. Quasi il doppio rispetto a Beppe Grillo. Il quale, evidentemente, appare, ai più, un interprete straordinario della protesta contro i partiti e le istituzioni rappresentative. Ma pochi, perfino fra i suoi elettori, si azzarderebbero ad affidargli la guida del Paese. Del “nostro” Paese eccezionale. Che, ormai da anni, è governato da tecnici o da maggioranze divise, a cui partecipano partiti, fra loro, alternativi. “Costretti” a stare insieme per emergenza, ma non per volontà. Da ciò un sospetto. Un dubbio. Che, contrariamente a quanto recita la retorica antipolitica del nostro tempo, i partiti e il Parlamento, non rappresentino il “peggio”, ma un riassunto attendibile del Paese. Siano, cioè, lo specchio fedele degli italiani. Di questo Paese in-deciso a tutto.

La Repubblica 16.09.13