«La nostra prima preoccupazione sono i lavoratori », dice il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato. La decisione dei Riva di mettere in libertà i 1.400 dipendenti degli impianti dell’acciaio non era affatto attesa. È arrivata improvvisa anche sul tavolo del governo. Appena tornato da L’Aquila, dove aveva partecipato ad un convegno, Zanonato si è chiuso nel suo ufficio in Via Veneto insieme al sottosegretario Claudio De Vincenti e al capo della task force per le crisi aziendali Giampiero Castano, per riaprire il dossier Ilva. Ha convocato i sindacati. Ha chiamato il presiedente dell’Ilva, Bruno Ferrante, e il commissario Enrico Bondi. Ha contattato il premier Enrico Letta, impegnato a Venezia nella trilaterale Italia, Slovenia e Croazia. Poi ha annullato il suo intervento alla festa della destra sociale di Atreju dove avrebbe dovuto parlare di crisi industriale. Il caso Riva è una nuova emergenza.
Ministro, come giudica la decisione dei Riva? Una ritorsione, un ricatto nei confronti dei lavoratori, cioè la parte più debole, oppure una scelta obbligata di fronte al sequestro dei beni imposto dalla Procura di Taranto?
«In questo momento non sono in grado di esprimere un giudizio. Questo è il seguito di una storia ormai piuttosto vecchiotta. È un cascame del sequestro dei beni dei Riva per circa 8,1 miliardi di euro già stabilito nel maggio scorso. Non c’è stato alcun nuovo atto da parte dei magistrati rispetto al decreto di luglio con il quale si precisavano i beni che dovevano essere sequestrati, salvaguardando quelli espressamente necessari alla produzione dell’impianto siderurgico di Taranto».
Perché, allora, i Riva hanno preso ora questa decisione?
«Non lo so perché. Le ripeto: non sono ancora in grado di fare questa valutazione. Ho sentito il presidente Ferrante. Devo capire».
Cosa può fare il governo?
«Sto studiano il dossier. Posso dire che non mi convince affatto che si fermi un’attività produttiva come quella dell’acciaio che costituisce un asset decisivo nel nostro sistema industriale. Nello stesso tempo ritengo che sia preferibile, in questi casi, sequestrare il patrimonio e non gli strumenti necessari allo svolgimento dell’attività produttiva. Lo dico per almeno due ragioni: perché in questo modo si svaluta il valore del patrimonio stesso, e perché, dall’altra parte, si danneggia anche il tessuto produttivo».
I Riva hanno deciso la messa in libertà dei lavoratori. Vuol dire che non andranno al lavoro, né riceveranno alcun reddito come la cassa integrazione. Pensa che sia possibile consentire ai 1.400 lavoratori coinvolti di ricevere almeno la cassa integrazione?
«Sì, penso di sì».
Dunque chiederete a Riva di utilizzare la cassa integrazione?
«La produzione di acciaio non è un’attività decotta. Gli impianti di cui parliamo sono competitivi, producono materiali necessari ad altre imprese. Dunque, in attesa di risolvere la
questa è una tipica situazione (c’è un fermo produttivo contingente legato ad una specifica ragione) è in cui è corretto far uso della cassa integrazione ».
Lei ha idea di quale possa essere l’effetto domino sulle aziende fornitrici, le subfornitrici e quelle dei trasporti legate al sistema Riva nelle regioni del nord? C’è chi sostiene che possano essere coinvolte circa 10 mila persone. È una stima realistica?
«Non sono in grado di fare una stima. Certo, ne ho parlato anche con il prefetto di Brescia dove c’è l’impianto più importante, con il sequestro dei conti correnti non vengono pagati i fornitori. E non c’è dubbio che questo possa determinare un effetto a catena, con altre aziende che possono entrare in difficoltà».
Vede il rischio di tensioni sociali, tanto più in un contesto ancora recessivo?
«Mi pare normalissimo che i lavoratori si mobilitino contro una decisione del genere. Ne va del loro lavoro. Davvero mi sorprenderebbe il contrario. È importante, però, che sappiano che il governo è impegnato a salvaguardare la loro occupazione e il mantenimento dell’industria dell’acciaio in Italia ».
C’è chi, anche tra i sindacati, chiede al governo di intervenire commissariando tutto il gruppo Riva non solo l’Ilva di Taranto. È un’ipotesi che avete preso in considerazione? Lo farete?
«Non sarei sincero se le dicessi che non ci ho pensato. È un’ipotesi, ma non so se sia una strada percorribile. Il decreto legge con cui il governo ha commissariato l’Ilva trovava la sua giustificazione nel disastro ambientale provocato dallo stabilimento siderurgico e dunque dalla necessità di utilizzare le risorse per rispettare i vincoli del risanamento prescritti dall’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale. Quest’ultimo è oggettivamente un caso diverso».
La Repubblica 13.09.13