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“Povera Italia: così muore il lavoro”, di Rinaldo Gianola

All’improvviso sembra tutto inutile, banale, superfluo. Diventa fastidiosa la questione della decadenza di un senatore condannato, ci appare noiosa la diatriba democratica sull’ascesa di un giovane sindaco ai cieli della politica, risulta totalmente fuori luogo la vivace discussione sulla ripresa, le tasse e le ultime balle di Marchionne. All’improvviso la cronaca ci impone le vere emergenze di un Paese impoverito e sofferente: gli operai muoiono per l’ennesima esplosione di un silos e vengono buttati fuori dalla fabbrica per la vendetta di un famoso industriale, inquinatore e sfruttatore. È come se non cambiasse mai nulla. Quante volte abbiamo raccontato di operai dilaniati da un’esplosione, come è accaduto ieri ai due poveri lavoratori di Lamezia Terme? Quante volte ci siamo indignati e abbiano ascoltato le promesse di istituzioni e politici che non sarebbe più successo, che la strage sul lavoro sarebbe finita? Si muore in fabbrica e si perde il posto, tutto si tiene in un dramma silenzioso che continua, senza interruzioni, quasi che il destino dei lavoratori sia tragicamente segnato come ci hanno insegnato questi ultimi anni di crisi. Non si può alzare la testa, non si può più rivendicare lealmente e giustamente i propri diritti, altrimenti rischi di passare per un conservatore, un ostacolo alla ripresa, alla modernizzazione inevitabile del Paese. Il padrone dell’acciaio, il Riva dell’Ilva, ieri ha chiuso le sue fabbriche, persino quella familiare di Caronno Pertusella dove tutto iniziò nel dopoguerra, come ritorsione alla decisione del sequestro di beni, attività, patrimoni deciso dalla Procura di Taranto nell’ambito dell’inchiesta sull’avvelenamento, il disastro ambientale provocato dall’imprenditore siderurgico. La logica è questa: se la giustizia mi persegue allora chiudo le fabbriche e caccio gli operai. Ma come sorprendersi, il clima è questo. Altri in parlamento fanno lo stesso ragionamento: se mi condannano faccio cadere il governo. Di fronte a questa minaccia concreta gli operai del gruppo Riva hanno manifestato, protestato, continueranno a farlo in attesa del solito tavolo a Roma che possa produrre una soluzione. Ma, anche questa vicenda, l’ennesimo caso di chiusure ed esuberi improvvisi, testimonia della debolezza del lavoro, come valore sociale, politico, ideale. È come se tutto il nostro mondo, quel sistema democratico di impegno, amicizia, anche militanza, fosse colto da un’afasia improvvisa. Ci mancano le parole vere, oltre che i gesti. Non si riesce a rimettere in moto un vero disegno solidale, costruttivo, come se la moltitudine dei soggetti in politica, nell’impresa, nel sindacato, nel lavoro, giocassero una propria partita, per interessi individuali, di parte. È ovvio che il destino di in grande gruppo industriale come Riva o la sicurezza dei lavoratori sono molto più importanti del futuro politico di Berlusconi e della scelta del leader del pd. Eppure… Domani l’Italia tutta se ne sarà dimenticata, saremo tornati tutti quanti al solito tran tran consolatorio e rassicurante della nostra ammirevole partecipazione per le tragedie umane e alla denuncia dei padroni cattivi, e poi, dopo il solito teatrino televisivo, riprenderemo a parlare della governabilità, dell’Imu e ci interrogheremo perplessi se Letta si alleerà con Renzi. Tutto come sempre. Fino ai prossimi morti, fino alle prossime inevitabili tragedie italiane.

L’Unità 13.09.13