Non ne possiamo più di giuristi improvvisati, di parlamentari travestiti da avvocati, di procedure ormai elevate a surrogato della politica. Davvero qualcuno pensa che le sorti del governo Letta siano legate alle pregiudiziali del senatore Augello, poi trasformate in «preliminari»? O che la scelta di staccare o meno la spina da parte di Berlusconi dipenda dalla data del voto in Giunta sulla decadenza?
Tutto ciò è ridicolo, benché sia drammatico per un Paese che soffre di crescenti esclusioni sociali, che ha perso competitività, che deve riformare le proprie istituzioni, che non può assolutamente permettersi una crisi di governo al buio.
Eppure la crisi è minacciata. Anzi, sembra essere l’obiettivo del leader Pdl, la sua risposta politica alla condanna penale definitiva che lo esclude da ogni funzione pubblica. La crisi invece delle dimissioni (come avverrebbe in ogni altra parte del mondo). Non è detto che Berlusconi riesca a fare ciò che ha in mente. Ha tante resistenze anche nel suo campo, persino nelle sue aziende. Ma lui vuole rompere. E non certo perché il Pd non consente tre giorni in più ai lavori della Giunta, o perché un comma del regolamento del Senato è stato male interpretato. Berlusconi vuole la crisi per contrapporre la legittimazione elettorale alla legge, vuole la crisi per impostare la campagna elettorale contro il giudizio «ingiusto» proprio mentre la pena inflittagli avrà la sua esecuzione. Non sarà ovviamente il rispetto del galateo parlamentare – che, sia chiaro, è giusto assicurare, tanto più da parte della sinistra che non può rinunciare al primato del diritto – a far cambiare idea al Cavaliere. Semmai possono farlo i rapporti di forza, o la paura di Berlusconi nell’assumersi da solo una responsabilità così grave, che potrebbe spingere il Paese in una deriva pericolosissima, verso un commissariamento di tipo greco. Stiamo parlando di una questione politica cruciale per l’Italia. Altro che procedure. Berlusconi, in seguito alla sentenza, non può più svolgere una funzione pubblica. Non può essere parlamentare, né componente di un governo. La decadenza sulla base della legge Severino è di fatto inevitabile. E, pure se fosse evitabile, scatterebbe a stretto giro l’interdizione dai pubblici uffici. Nessuno può immaginare che Berlusconi riesca a fare slalom tra queste norme e trovare chissà dove un salvacondotto. E infatti nessuno lo immagina, neppure nel Pdl. Chi di loro chiede al Pd di sostituirsi ai magistrati e di emettere un quarto grado di giudizio favorevole al Cavaliere, lo fa per pura propaganda.
Il dilemma politico è per intero nel campo della destra italiana, sin dalla sera della sentenza della Cassazione. La scelta di far cadere Letta produrrebbe un conflitto politico-istituzionale, che Berlusconi a questo punto non avrebbe più neppure interesse a governare o limitare. La scelta invece di sostenere Letta fino alla fine del semestre di presidenza italiana dell’Ue implicherebbe, da parte del Cavaliere, l’accettazione della sentenza e il varo di un nuovo centrodestra. Questo è il dilemma, non la data del voto in Giunta. Il Pd può dire la sua in questa partita politica? Ovviamente, non stiamo parlando di impossibili accordi sottobanco o di irrilevanti intese sul calendario. Il centrosinistra non può concedere salvacondotti, né può rimangiarsi la legge Severino, pena la perdita totale di credibilità. Il Pd può invece prendere un impegno solenne di sostenere il governo fino alla fine del 2014. Un impegno non scontato (perché anche nel Pd c’è chi non disdegna le elezioni a breve) che comprende alcuni cambiamenti strutturali: una politica economica orientata sui contenuti del documento Confindustria-sindacati; un cambio del sistema politico con nuovi attori a sinistra come a destra; una fuoriuscita dalla seconda Repubblica, con riforme nel senso di un governo parlamentare rafforzato. Berlusconi accetterà la sfida? Dovrebbe dimettersi da senatore anziché impegnare il Parlamento in questa delirante contesa di azzeccagarbugli. Giuliano Ferrara gli ha suggerito di impugnare i referendum radicali per rilanciare nei fatti la propria leadership, anche da una posizione extra-parlamentare. Già Grillo è un leader extra-parlamentare, ed evidentemente la via della normalità è ancora lunga da percorrere. Comunque, il Pdl si decida. E la smetta di parlare come un collegio di avvocati, peraltro in disaccordo tra loro. Dica se vuole andare avanti con il governo oppure no. Lo dica subito, perché l’attesa sta producendo danni agli italiani, anzitutto ai più deboli.
L’Unità 12.09.13