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“Non siamo gli sceriffi del mondo l’America è stanca della guerra”, di Antonio Monda

Paul Auster vive con angoscia l’intenzione di Obama di attaccare la Siria, e segue giornalmente l’evoluzione di una situazione ancora molto incerta, nella quale sembra che ogni soluzione possa portare elementi negativi e anche tragici. «Non avrei mai pensato di vivere nuovamente, una situazione del genere» racconta con tono amaro e disilluso. «Sembra che l’America, e con essa il mondo intero, sia condannato alla violenza».
Come si sente un liberal di fronte ad un presidente democratico che scatena la guerra?
«Mi sento male, e vivo questo momento con grande disagio. Capisco l’angoscia del presidente ».
Ritiene che Obama sia titubante o ragionevole?
«Mi sembra tormentato. Io personalmente sono fermamente contrario, ma voglio dire che quella di Obama non è una vera dichiarazione di guerra. Non capisco dove possa portare un conflitto di questo tipo, se non a nuove tragedie. Non mi sfuggono gli elementi coinvolti in questa situazione: le stragi di civili, la repressione, la dittatura, gli interessi e le pressioni opposte di Iran e Israele».
Obama è anche premio Nobel per la pace…
«Questo è il mondo in cui viviamo: anche chi è animato da buone intenzioni, una volta che assume ruoli di questa responsabilità, deve prendere decisioni tragiche e violente. La situazione generale è assolutamente precaria, e ogni giorno più rischiosa: non mi sento di attaccarlo».
Non si tratta della prima scelta in questa direzione: ha bombardato la Libia senza voto del Congresso, per prevenire un massacro di civili. E poi, con i droni, il Pakistan, la Somalia e lo Yemen.
«Questa ovviamente è una tragedia, e spero che proprio queste esperienze possano convincerlo a rinunciare ad attaccare, anche se ci sono molti elementi che invocano risposta e fanno capire che in Siria la situazione è tragica».
Kerry ha paragonato Assad a Hitler, ma, paradossalmente, per tutte le logiche implicazioni fa maggiore impressione il paragone con Saddam.
«È un altro elemento che mi ha riempito di angoscia, e non mi sfuggono le implicazioni logiche. Credo tuttavia che al di là della retorica politica, utilizzata per convincere il Congresso e l’opinione pubblica, il motivo di quel paragone sia dovuto all’uso dei gas, utilizzati in passato da Saddam. E per quanto riguarda Hitler, i gas
evocano i campi di sterminio. Detto ciò, c’è da riflettere sul fatto che uccidere con bombe o fucili non è moralmente meno grave che utilizzare i gas».
L’America sembra sola: Bush aveva con sé la “coalizione dei
volenterosi”, Obama ha solo la Francia, l’Australia e la Turchia.
«L’America è stanca della guerra, e il mondo rischia di stancarsi dell’America. Aggiungo che, considerato quello che è successo nel Parlamento inglese, anche la Gran Bretagna appare stanca e disillusa».
Secondo lei cosa succederà al Congresso?
«Io penso che sarà un voto estremamente incerto, e comunque vada a finire, per Obama sarà un momento difficile, forse anche tragico».
La risoluzione per l’intervento in Iraq fu approvata dal 61%
dei Democratici della Camera e dal 58% al Senato. Tra i sì ci furono Clinton e Kerry.
«Il mondo politico, nei momenti tragici, tende a stringersi attorno al comandante in capo: anche i presidenti più discussi o odiati, ricevono applausi ad esempio nel giorno del discorso allo Stato dell’Unione. Credo che la votazione del Congresso mostrerà molti voti trasversali, con democratici a favore della guerra e repubblicani contro. Gli interessi lotteranno, come sempre, con gli ideali».
In cosa differisce la guerra di Obama da quella di Bush?
«Continuo a pensare che questa non sia ancora guerra, e spero non lo sarà mai, ma in Siria sono morte decine di migliaia di persone e l’attacco con il gas di pochi giorni fa ha fatto strage di civili e anche di bambini: si tratta di una vera guerra civile. All’epoca di Bush, in Iraq, la situazione era estremamente diversa, e il presidente sabotò le prove dell’esistenza di armi di sterminio».
Rimane il fatto che il presidente che doveva cambiare atteggiamento riguardo al Medio Oriente, oggi continua a bombardare.
«È una situazione tragica, degenerata, dal quale è quasi impossibile uscire senza far danni. Non me la sento di esprimere un giudizio politico, ma solo un auspicio».
Qual è la sua opinione riguardo al concetto degli americani poliziotti del mondo?
«Si tratta di un’enorme questione morale. Da quando ero giovane ho visto il mio paese andare in guerra in posti non doveva andare: il Vietnam, Grenada, l’Iraq. Mi chiedo anche se sia stato giusto intervenire in Kosovo, e in ognuno di questi casi mi sono sempre opposto con forza. Tuttavia, ritornando a quello che mi chiedeva prima, esistono dei casi in cui il problema etico esige una risposta: penso ad esempio al Ruanda. Qual è il limite oltre il quale l’intervento umanitario diventa abuso e sopruso?»

La Repubblica 03.09.13

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