Ho sostenuto, passo dopo passo, le scelte dell’esecutivo. Dal plauso per la restituzione dei debiti della PA alle imprese, alla iniziativa di Letta in Europa che ci ha ridato dignità e risolto qualche problema, a partire dall’uscita dalla procedura di infrazione. Ho considerato un avanzamento le misure di parziale rifinanziamento della cassa integrazione in deroga e il sostegno all’occupazione giovanile. Ora però la partita si fa pesante perché i ricatti del centrodestra nei confronti del governo non cessano, nonostante il compromesso raggiunto sull’Imu. Spero che, in una coalizione con comportamenti politici asimmetrici, che vanno a tutto svantaggio del Pd (gli ultimi sondaggi Swg sono rivelatori), il nostro partito faccia sentire con più forza quali sono le sue priorità irrinunciabili, altrimenti saremo costantemente sotto scacco.
Parliamo dell’Imu: non ritengo che l’abolizione di questa tassa anche per i più ricchi sia una soluzione politicamente corretta e socialmente giusta. C’è un evidente squilibrio tra le risorse (potenzialmente?) impegnate per togliere la tassa sulla prima casa, oltre 4 miliardi, e quanto viene destinato per la cassa integrazione in deroga e gli esodati. Compensare questo squilibrio nella legge di Stabilità sarà problematico, a meno che non si metta in discussione la cancellazione totale della seconda rata dell’Imu o si percorra la strada dell’aumento della pressione fiscale, non escludendo l’Iva o le accise. Altrimenti le risorse non saranno sufficienti per affrontare tutte le misure. Noi siamo contrari a classificare gli interventi in due grandi categorie: quelli per i quali è lecito impegnare ingenti risorse (l’Imu) e quelli che devono essere realizzati a costo zero (le pensioni). Non a caso la proposta del ministro Giovannini di un «acconto-pensione» non ci convince. Si tratta, dice il ministro, di «uno schema per cui chi è a 2-3 anni dal pensionamento e lascia il lavoro potrebbe per tale periodo ricevere un sostegno economico, che poi dovrà ripagare negli anni successivi: si tratterebbe di una sorta di prestito, senza costi aggiuntivi sul sistema pensionistico». La mia contrarietà si basa sul fatto che si trasforma un futuro diritto previdenziale in un mero intervento di tipo assistenziale; che si pretende addirittura la restituzione di questo acconto quando il lavoratore percepirà la pensione, sapendo che mediamente si tratta di assegni da 1.200 euro netti mensili. Infine, ancora una volta, diventa dirimente nella proposta non prevedere costi aggiuntivi al sistema previdenziale. Su quest’ultimo punto vorrei osservare che con la riforma Fornero abbiamo fatto pagare il conto salato del risana- mento prevalentemente ai pensionati: la Ragioneria dello Stato ha certificato un risparmio superiore ai 300 miliardi di euro tra il 2020 e il 2060.
Forse è giunto il tempo di restituire qualche risorsa alle pensioni senza che questo significhi varare alcuna controriforma. La proposta del Pd di introdurre un criterio di flessibilità nel sistema pensionistico, tra i 62 e i 70 anni, non è nient’altro che una correzione alla riforma voluta dal governo Monti che ha abolito qualsiasi gradualità producendo il dramma sociale degli esodati. Il governo obietta che questo intervento costa: noi rispondiamo che tutte le riforme costano, anche quelle discutibili sotto il profilo dell’equità come l’Imu. Vale per il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, per diminuire la pressione fiscale su imprese e lavoro, perché non dovrebbe valere per le pensioni? Inoltre, quando parliamo di previdenza dobbiamo sapere che i capitoli da affrontare sono molti. Per quanto riguarda i cosiddetti esodati, l’ultima misura che allarga la platea dei salvaguardati di altri 6.500 lavoratori, ha il pregio di risolvere il problema dei licenziati invisibili delle piccole aziende, ma è insufficiente. Non facciamo più numeri, ma parliamo delle famiglie di lavoratori da mandare in pensione con le vecchie regole (chi è in mobilità, prosecutori volontari, Fondi speciali) tutti compresi nella proposta di legge del Pd e di altri partiti attualmente in discussione in Commissione Lavoro della Camera. C’è il problema delle ricongiunzioni, per le quali occorre porre riparo a un errore, riconosciuto, del governo Berlusconi che costringe molti lavoratori a versare due volte i contributi per avere una unica pensione.
Infine, non dobbiamo dimenticare le pensioni in essere. Sappiamo qual è la sperequazione esistente tra pensioni medie e pensioni d’oro e i guasti al potere d’acquisto provocati dal blocco della indicizzazione voluto dall’ex ministra Fornero, che ha riguardato le pensioni superiori a tre volte il minimo (poco meno di 1.400 euro lordi mensili), le quali non hanno avuto il congela- mento della sola rivalutazione superiore a tre volte, ma di tutto l’importo. Grazie alla battaglia del Pd nella passata legislatura fu cancellato questo meccanismo perverso ripristinando dal primo gennaio 2014 l’indicizzazione per le pensioni fino a sei volte il minimo, circa tremila euro lordi mensili, consentendo a chi ha importi superiori di percepire comunque la rivalutazione fino a questa soglia di sei volte. Il congelamento riguarda, con questa soluzione, solo la parte eccedente. Guai se a qualcuno venisse in mente di rimettere in discussione questo meccanismo, tornando al modello del governo Monti. Faremmo opposizione frontale.
L’Unitò 01.09.13
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