«Voglio impegnarmi per un Partito democratico più unito, più grande e in grado di vincere perché dopo le prossime elezioni non si faccia più un esecutivo di larghe intese…». Enrico Letta si candida per guidare il governo del futuro, quello di centrosinistra che piace al popolo democratico che affolla il tendone della festa. E mentre Renzi si propone da Forlì per governare il Pd, il premier tocca le corde giuste per superare l’esame di chi affolla il tendone dedicato a Sandro Pertini della festa di Genova, microcosmo di un partito che vuole tornare a vincere per cambiare il Paese. Letta cita argomenti e nomi appropriati e suscita applausi, ripetuti, affettuosi e convinti: Giorgio Napolitano, Cecile Kyenge, i leader progressisti europei seduti in prima fila. Guglielmo Epifani che sale sul palco alla fine dell’intervento del premier e saluta battendo assieme a «Enrico» le mani alla gente.
Per il premier una lunga giornata in città prima dell’intervista pubblica nella cittadella democratica installata nel Porto antico, ristrutturato dal genovese Renzo Piano che – lo ricorda il governatore della Liguria, Burlando – «è stato nominato oggi (ieri, ndr.) senatore a vita». Letta ha incontrato il cardinale Bagnasco, ha visitato l’Istituto italiano di Tecnologia, ha sostato al Porto teatro dell’incidente dei mesi scorsi. Da «pisano», infine, sotto il tendone dei dibattiti della festa Pd, ha puntato sull’operazione simpatia salutando «la parte genoana gemellata con la squadra della mia città» e provocando i mugugni dei sampdoriani. «Lo faccio sempre – ha spiegato Letta – ogni volta che vengo a Genova…». Tante volte alle kermesse democratiche del capoluogo ligure. Ieri l’esordio da presidente del Consiglio. Glielo ricorda Mario Orfeo direttore del Tg1 che lo intervista. Il premier, giunto a piedi al Porto antico, risponde un po’ su tutto. In maniche di camicia, senza indulgere nel politichese. Una preoccupazione su tutte: dimostrare che pur tenendo conto dei compromessi indispensabili in un governo di coalizione – ancora più faticosi con una maggioranza Pd-Pdl – le ragioni e il programma del Partito democratico sono stati salvaguardati. Altro che esecutivo a trazione Pdl, quindi. «Sto dando tutto per questo governo, anche il sangue e la salute – sottolinea Letta – ma una cosa devo ricordarla: non è quello per cui ho fatto la campagna elettorale. La prossima voglio farla per un governo di centrosinistra…». La sala apprezza. E applaude.
LA LEGGE ELETTORALE
«Le elezioni non le abbiamo vinte – ricorda il premier – E la legge elettorale ha determinato il marasma con il qua- le abbiamo dovuto fare i conti» e che è stato superato grazie a Giorgio Napolitano, un presidente «gigante». Un’alleanza frutto di una «situazione eccezionale», quindi, quella delle larghe intese. E Letta ridimensiona quel «il governo non ha più scadenze» pronunciato dopo l’accordo sull’Imu. Parole interpretate male, spiega. «Io lavoro per il governo che ha ottenuto la fiducia del Parlamento con 3 obiettivi da realizzare in 18 mesi», precisa. E Mario Orfeo gli fa notare che l’elenco di provvedimenti snocciolato davanti alla platea che lo ascolta (legge elettora- le, riforme istituzionali, Europa, «il lavoro che sarà il cuore di tutto» con la «legge di stabilità incentrata su questo».) costituisce un programma da legislatura.
Dopo quattro mesi di governo «molte cose stanno già cambiando» – rivendica il premier – «Cecile Kyenge all’Integrazione, ad esempio…». E Letta parla della «fatica» del ministro – rilevata ieri dall’Economist – per superare quel «razzismo di ritorno» al quale «abbiamo dato un colpo di grazia» in un Paese dove lo slogan «italiani brava gente» ha coperto tanti «disastri»
L’Imu, quindi. E se Bersani, da Rainews 24 ha parlato ieri di una «formula” dettata dal “compromesso», Letta definisce l’imposta sulla casa una tassa «iniqua». «La Service Tax sarà più bassa e non sarà caricata sugli affittuari contro i proprietari – spiega – Risponderà a esigenze di equità e progressività». L’Iva, dunque. «Farò di tutto per evitare l’aumento», garantisce il presidente del Consiglio.
Berlusconi, infine. Come la pensa Letta a proposito della decadenza? «La risposta è molto semplice – chiarisce – io non credo ci siano molti margini, la separazione tra il piano politico e giudiziario è indispensabile» e «chi crea delle connessioni improprie tra quello che deciderà il Senato e il governo, dovrà spiegare ai cittadini il senso di queste relazioni pericolose».
Domanda su Matteo Renzi, inevitabile mentre il sindaco parla in Romagna, contemporaneamente, creando tra i lettiani qualche evidente risentimento. «Chi pensa di dividere il Pd tra un pisano e un fiorentino sbaglia», scherza il presidente del Consiglio. Poi, però, si fa serio. «Si faccia il congresso, un bel congresso – sottolinea – Ma alla fine dobbiamo essere tutti democratici, per un Pd forte nel quale le provenienze siano un tema che non interessa più. Il nostro partito ha davanti un grandissimo futuro e può essere l’architrave del sistema politico. Rimaniamo uniti, quindi».
L’Unità 31.08.13