Il maggior danno che si sta facendo al Paese è quello di dare per plausibile ciò che pacificamente non lo è. Plausibile che un Parlamento violi smaccatamente un norma anticorruzione che ha appena approvato. Plausibile chiedere al capo dello Stato di abbuonare la pena ad un conclamato evasore fiscale, plurinquisito e pluricodannato in vari gradi di giudizio. E questo perché è «un leader politico al quale assicurare agibilità», costituzionalizzando cosi il principio che fare politica garantirebbe uno statuto legale privilegiato, una minore soggezione alla legge. E dimenticando che il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale (art. 87 della Costituzione) e non può certo mettere i suoi poteri a servizio della pretesa di una parte politica che abbia pure il dieci, il venti o il trenta per cento dei voti.
I pareri affannosamente depositati ieri dalla difesa di Berlusconi in realtà già nel loro affastellarsi e nello sforzo comprensibilmente titanico dei redattori, finiscono con il dar conto di come davvero non vi sia nessuno spazio per il Senato, di non dichiarare la dovuta decadenza dal seggio di Silvio Berlusconi. Decadenza che peraltro è destinata a conseguire anche in via automatica non appena si sarà perfezionata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, rinviata dalla Cassazione con qualche generosità per l’imputato (che nessuno però sottolinea). E se è comprensibile che dalla parte del Cavaliere tutti si impegnino nel disperato tentativo, gli altri dovrebbero fare più attenzione prima di essere costretti a smentire e rettificare, a non cadere in trappole di strumentalizzazione buone sole a sbandare ulteriormente il grande pubblico dei non addetti ai
lavori. Perché non ha nessun senso dire che in astratto la giunta delle elezioni potrebbe rimettere la questione alla Consulta, se allo stesso tempo non si dice dove sarebbe questa pretesa incostituzionalità della legge che per semplicità chiamiamo Severino ma che in realtà l’intero Parlamento a larghissima maggioranza e lo stesso Pdl hanno confezionato e approvato pochi mesi addietro e ora si pretende di non applicare ad personam.
Sul punto i pareri prodotti da Berlusconi cercano di allegare una violazione dell’articolo 66 della Carta che attribuisce alla Camera di appartenenza l’accertamento della sussistenza della causa di decadenza. Ma basta leggere il precedente articolo 65 per trovarvi la disposizione che è «la legge» che «determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato e senatore ». Sicché la norma del 2012 altro non ha fatto che applicare la Costituzione che è l’opposto di violarla. E ha poi puntualmente rimesso alla giunta di accertare che in effetti la causa di decadenza si sia verificata come avviene per tutte le altre cause di incompatibilità. Dove sia quindi l’incostituzionalità risulta davvero misterioso.
Il secondo affannato argomento è quello della cosiddetta retroattività. Ma di retroattivo non c’è un bel niente atteso che la decadenza opererà in avanti, non certo indietro, e l’ordinamento, sol che venga rispettato, è ricco di norme che a tutela dell’interesse pubblico prevedono preclusioni per i soggetti condannati. Un esempio per tutti la disciplina in tema di pubblici appalti che nessuno
si è mai sognato di applicare a corrente alternata in base a quando furono compiuti i delitti. Ciò che in realtà viene evocato dai pidiellini è la pretesa applicazione del favor rei, senza però citarlo per non ricordare che di un reo accertato si sta parlando e perché è noto che quel principio riguarda le pene, non certo le misure di salvaguardia istituzionale: nel caso a tutela del Parlamento e dell’interesse pubblico alla sua composizione.
Così crollata anche la seconda questione un giudice che sollevasse una inesistente eccezione di costituzionalità al solo fine di prendere tempo meriterebbe per questo un procedimento disciplinare. Lo facesse il Parlamento calpestando clamorosamente le sue stesse leggi, se ne imporrebbe lo scioglimento come per l’ultimo Consiglio comunale.
Il punto allora non è come finirà una vicenda dall’esito costituzionalmente dovuto; ma quanto sia ancora tollerabile questo dare tutto per plausibile, l’abbandono di ogni fermezza morale, il ritenere tutto negoziabile. Con la dialettica democratica strozzata dalle larghe intese, e con le istituzioni di garanzia assediate e costrette ad affermare elementari ma fondanti valori di una democrazia costituzionale, come «la legge uguale per tutti». È questa deriva di etica civica il colpo di coda di un ventennio che l’ha prosciugata e svilita; e che se non interrompiamo con un sussulto inequivoco, rischiamo di pagare tanto, anche molto più di un benvenuto risparmio di una rata di Imu.
La Repubblica 29.08.13