I dati del rapporto 2008 dell’Inail in materia di infortuni sul lavoro registrano una diminuzione degli incidenti, ma un incremento (+2%) di quelli occorsi agli stranieri.
Per questi ultimi, tuttavia, non è affatto semplice ottenere una adeguata tutela in caso di incidenti invalidanti. Un lavoratore marocchino, ad esempio, si è visto rifiutare la domanda per l’assegno di invalidità: un articolo della legge n. 388/2000 dispone che il possesso della carta di soggiorno sia condizione necessaria.
Il Tribunale di Genova, invece, gli ha dato ragione affermando essere sufficiente il permesso di soggiorno, in base a due sentenze della Corte Costituzionale. Ciò nonostante l’Inps non ha ancora diramato una circolare applicativa in tal senso: eppure le sue casse si giovano, eccome, del lavoro immigrato. Nel 2007 i contributi previdenziali versati dagli stranieri ammontavano a 7 miliardi di euro. Quei lavoratori, quindi, pagano, ma, essendo il welfare italiano orientato prevalentemente verso servizi per gli anziani, beneficiano delle prestazioni solo in minima parte (l’età media è di 31 anni). Ne consegue un problema istituzionale e politico. L’Inps è un ente pubblico, che svolge un’attività di tutela e di integrazione sociale del lavoratore: e invece, in questi casi, ricorre a dispositivi di restrizione, se non di esclusione. Se a subire misure discriminatorie è uno straniero, è alto il rischio che si arrivi a produrre «razzismo per via istituzionale». Il reiterarsi di queste misure fa temere che non si tratti di scelte casuali, bensì, di una volontà precisa e di una decisione politica. Ma se così fosse, è urgente che i gruppi parlamentari democratici facciano sentire la loro voce e chiedano conto all’Inps di quanto accade.
L’Unità, 30 giugno 2009