Nonostante le roboanti minacce del Pdl, l’attuale sistema politico appare sempre più bloccato. E anche l’arma delle elezioni anticipate si mostra spuntata. In primo luogo perché il Presidente della Repubblica (lo ha confermato anche ieri nel colloquio con il presidente del Consiglio) non ha alcuna intenzione di sciogliere le Camere se prima non si è messo mano alla legge elettorale, ossia a quel Porcellum che costituisce la prima causa di questa impasse senza precedenti.
IN SECONDO luogo perché il risultato di una nuova consultazione elettorale, senza la riforma delle legge Calderoli, rischia di riprodurre la medesima situazione. Ancora pareggio e ancora larghe intese. E infatti, sebbene i falchi del centrodestra siano in questa fase scatenati, i dubbi del Cavaliere per un immediato show down non mancano. «Non mi vogliono lasciare una via d’uscita — ha ripetuto ieri il capo del centrodestra spinto dalle colombe Gianni Letta e Fedele Confalonieri — ma basterebbe poco per evitarmi un’umiliazione». Ma quella che Berlusconi chiama un’umiliazione, rappresenta per il Pd un passaggio obbligato. Enrico Letta e i democratici non possono fare niente per «salvarlo». Se non arrivare all’esecuzione della sentenza in modo ordinato e senza eccessi. L’unica via per non far esplodere la situazione. Fare anche solo credere ad un cedimento, significherebbe provocare una vera e propria rivolta del popolo di centrosinistra. Quindi anche per il Partito democratico, sono poche le alternative.
L’ipotesi di una nuova maggioranza si sta sbriciolando davanti ai niet di Grillo che ora — smentendosi clamorasamente — addirittura invoca la difesa del Porcellum. L’idea poi di una diaspora dentro il centrodestra è al momento avveniristica. I malumori in quel partito non mancano, anzi lo scontro tra moderati e falchi è sempre più violento. Ma nessuna colomba — dopo il fallimento di Scelta civica — ha più il coraggio di provocare una frattura. A quel fronte manca un vero
leader che possa pilotare un traghettamento verso una nuova formazione. Anche Angelino Alfano lo sa. Ora sta provando a recuperare la leadership del partito e la guida delle «colombe». Ma con una premessa che ha deluso la componente più ragionevole: «Non tradirò mai Silvio».
In questo quadro dunque la possibilità di un nuovo centrodestra “deberlusconizzato” ancora non prende corpo. E conferma la situazione di paralisi del nostro sistema, in cui tutti sono troppo deboli per tentare uno scatto. I Democratici hanno insomma solo un’opzione: tentare di condurre all’esecuzione della pena inflitta a Berlusconi senza strappi per le istituzioni.
Non a caso, uno dei sentieri che Enrico Letta e Angelino Alfano stanno provando a imboccare porta ad allungare i tempi di esame della decadenza del Cavaliere da parte della Giunta. Tra due settimane, infatti, il relatore sul casi-Berlusconi potrebbe essere sostituito. Il nuovo si prenderà qualche giorno di riflessione. Ma in ogni caso la procedura è comunque lunga: con ogni probabilità verrà nominato un Comitato inquirente. Quando sarà finito il lavoro di questo organismo, verrà convocata l’udienza pubblica con un termine non inferiore a dieci giorni e solo alla fine si passerà al voto in aula. Il tutto non prima di metà ottobre, quando arriverà anche la decisione della Corte di appello di Milano sulla interdizione (la Cassazione ha infatti ordinato di ricalcolare i 5 anni decisi in secondo grado). Insomma, la decadenza del Cavaliere è comunque inevitabile. A Palazzo Chigi lo hanno detto a chiare lettere all’inquilino di Arcore. A meno che la Giunta per le immunità non voti un ricorso alla Corte costituzionale. «Così avremmo 7-8 mesi di tempo», dice il leader del Pdl e anche quelle colombe che vorrebbero organizzare il “dopo-Berlusconi”. Ma su questo i precedenti non sono favorevoli. Alla Camera non ce ne sono. Al Senato, nelle ultime due legislature, per tre volte la Giunta ha votato sul rinvio alla Consulta e sempre ha bocciato questa eventualità. Senza trascurare la circostanza che gli stessi giudici costituzionali potrebbero giudicare irricevibile la richiesta.
In questa situazione, quindi, il boccino è saldamente nelle mani di Napolitano. Che di voto anticipato non vuol sentire parlare. Prima si cambia la legge elettorale, poi si conclude il semestre di presidenza italiana dell’Ue e poi si può tornare alle urne. Altrimenti, come aveva già avvertito il giorno del suo secondo mandato presidenziale, sul tavolo questo Parlamento si ritroverà le sue dimissioni. E solo un nuovo capo dello Stato potrà sciogliere le Camere. Berlusconi ne è consapevole e prima di staccare la spina all’esecutivo cercherà di ottenere quanto più possibile dal suo ruolo di socio fondatore di questa strana alleanza di governo. Nella consapevolezza che uscire dal perimetro della maggioranza può provocare più di una ripercussione sulle sue aziende.
La Repubblica 23.08.13