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“Solo tre mesi di tempo per l’esame europeo”, di Federico Fubini

Agosto non è mai stato un mese facile per i mercati in Italia, ma dopo due anni di recessione questa promette di essere l’estate più schizofrenica da tempo. Prima ancora che le tensioni nel governo deflagrassero, il Paese era già tirato in direzioni opposte. Gli ordini, la produzione industriale, la fiducia delle famiglie dall’inizio dell’estate hanno preso a salire, benché sempre a livelli
bassi.Invece il credito delle banche al settore produttivo è sceso anche più in fretta del solito.
La contrazione dei prestiti bancari alle imprese a giugno rispetto al mese prima è stata di otto miliardi, dopo un calo di quattro miliardi a maggio e tre in aprile. Anziché attenuarsi, la strozzatura si fa più forte proprio quando le aziende sembrano più disposte a investire per cambiare i macchinari o riempire i magazzini vuoti da anni.
L’economia sembra muovere in una direzione, i flussi del credito vanno invece in quella opposta. E mentre l’Occidente ormai è spesso votato a quelle che gli addetti chiamano riprese “jobless”, senza posti di lavoro, una ripresa senza credito sarebbe probabilmente difficile da sostenere nel tempo.
Questo mette l’Italia davanti a un dilemma nel momento in cui una crisi di governo appare sempre di più plausibile. Poiché il credito è paralizzato, i germogli che annunciano un’uscita possibile dalla recessione devono avere origine altrove. E, con ogni probabilità, ciò che è accaduto in Europa dalla primavera deve aver contribuito. La sequenza non ha avuto niente di casuale. Tra aprile e maggio, l’Eurogruppo ha permesso a Spagna, Francia e Olanda di rinviare la stretta di bilancio per ridurre il deficit. Subito dopo, la Germania e la Commissione europea hanno silenziosamente permesso che l’Italia rinviasse l’aumento dell’Iva e cancellasse la prima rata dell’Imu.
Nel frattempo sono partiti i pagamenti degli arretrati della pubblica amministrazione alle imprese in Italia.
Tra qualche mese le conseguenze di queste scelte sui bilanci dei vari paesi saranno evidenti. I deficit di Francia e Spagna continueranno a restare sopra il 4% e il 7% del Pil, molto alti o quasi fuori controllo. E anche l’Italia dovrà fare i conti con un aumento del debito pubblico oltre il 130% preventivato fino ad ora e con un deficit che può di nuovo superare il 3% del Pil. Per ora queste scorie sono finite sotto al tappeto. Intanto però l’allentamento sui bilanci diventa un’iniezione di zuccheri con cui tutta l’Europa del Sud cerca di aiutarsi a emergere dalla recessione.
Niente di tutto questo può durare, se l’Italia non trova in fretta un chiaro senso di marcia. La caduta di Piazza Affari ieri all’idea che il Paese possa restare di nuovo in un limbo privo di direzione rivela in fondo proprio questi timori. Del resto, il calendario dei prossimi mesi si presenta già fitto di appuntamenti impossibili da gestire se non ci sarà un governo in grado di reagire in modo coerente.
Il primo delicato giro di boa arriverà fra metà ottobre e inizio novembre, quando l’esecutivo dovrebbe mandare a Bruxelles la bozza della legge di stabilità
(la vecchia Finanziaria) per il 2014. La Commissione e l’Eurogruppo aspettano già quel documento con una certa ansia, perché il sospetto che il deficit italiano stia già risalendo è tutt’altro che dissipato. Passata la campagna elettorale tedesca, e con essa la calma che
ha steso sul confronto politico nella zona euro, Bruxelles potrebbe chiedere all’Italia una correzione dei conti più severa. Forse per l’immediato, o per l’anno prossimo. Ed è improbabile che un sistema politico romano in campagna elettorale permanente riesca a rassicurare gli altri governi, gli investitori, sul fatto che il debito non salirà ancora.
Ma l’altro appuntamento, se possibile, è ancora più delicato: per la prima volta nei prossimi mesi delle squadre di esperti europei faranno un esame in profondità sulla “qualità”
dei bilanci delle grandi banche italiane. È il rito di passaggio in vista della vigilanza da parte della Banca centrale europea. Se quel test porterà alla richiesta di nuovi aumenti di capitale per gli istituti, di vendite di attività o accantonamenti, il sistema italiano dovrà farlo con risorse proprie. Ad oggi non esistono reti comuni in Europa per gestire eventuali interventi. Non una navigazione da affrontare senza timone. O un con timone bloccato da troppi timonieri che si parlano, ma non si capiscono.

La Repubblica 20.08.13