Ho già ricordato qualche giorno fa quanto accadde a Roma il 25 luglio del 1943 di cui ricorre quest’anno il 70° anniversario. Mi sembrava attuale: la liquidazione di Mussolini votata con larga maggioranza dal Gran Consiglio del Fascismo, il supremo organo del regime, ben più importante d’un Parlamento che da tempo era di fatto inesistente. Nello Ajello ha ripercorso quella vicenda con dovizia di particolari e di riflessioni politiche e psicologiche, descrivendo un Duce ormai diventato consapevole d’una sconfitta storica e della rovina che incombeva tragicamente sul paese che per vent’anni aveva ipnotizzato e magato col carisma della sua egolatria e la religione del Capo inviato dalla Provvidenza a riportare l’Impero sui colli fatali di Roma.
Nel frattempo è arrivata la sentenza della corte di Cassazione che condanna definitivamente il “boss” di Arcore a quattro anni di reclusione e alla pena aggiuntiva dell’interdizione dai pubblici uffici; il tema del 25 luglio è così diventato ancora più attuale.
Berlusconi ha ancora cinque processi che incombono sulle sue vicende pubbliche e private, uno più gravoso dell’altro. Le possibilità di scamparla sono inesistenti, i salvacondotti immaginati privi d’ogni consistenza. Ai suoi seguaci non resta che separare la sua sorte personale da quella d’un partito che da vent’anni ha riscosso il consenso di milioni di italiani, conservatori o liberali,
moderati o estremisti.Erano tutti stregati dall’ennesimo uomo della Provvidenza capace di creare ricchezza, gloria, prestigio internazionale, pari opportunità per tutti, solo che lo amassero e riponessero in lui la massima fiducia votandolo di conseguenza.
Il 25 luglio del ’43 restituì al Re i poteri che il fascismo gli aveva confiscato. I suoi promotori speravano che la monarchia – restaurata da quel voto – affidasse a loro il compito di riportare l’Italia sulla giusta via costituzionale e alla fine d’una guerra ormai perduta. Non sapevano che il Re aveva già incaricato Badoglio e con lui l’esercito di accudire al compito disperato della resa e del cambiamento del fronte di guerra.
Ma qui ed ora tutto sarebbe molto più facile. Il capo dello Stato è nel pieno esercizio delle sue prerogative repubblicane, un governo legittimo è in carica con la partecipazione anche del partito fondato da Berlusconi, le sorti di quel governo e il programma ad esso affidato è ampiamente gradito a tutte le potenze occidentali a cominciare dall’Unione europea della quale siamo uno dei principali paesi costitutivi e costituenti.
C’è soltanto da superare il generale discredito riguardante il carismatico buffone che ancora farnetica della sua indispensabilità.
Ma nessuno tra i “berluscones” pensa al ravvedimento. L’ipnosi ancora continua e condurrà al peggio se non sarà interrotta. Il tempo è quasi scaduto, venti giorni per decidere di sgombrare il campo dal gangster che ancora lo occupa o la rissa civile che accrescerà i guai della crisi anziché rafforzare i primi segnali di ripresa che cominciano finalmente a manifestarsi.
Napolitano è deciso, Letta è deciso, Epifani è deciso e con lui maggior parte del Partito de-
mocratico. Occorre risolvere difficoltà non lievi ma tutt’altro che insuperabili, con quelli di loro disposti ad un operoso ravvedimento o senza di loro. È da loro che dipende l’alternativa.
L’incontro di due giorni fa a Castel Porziano tra Napolitano e i rappresentanti del Pd ne ha chiarito le premesse e le fasi di svolgimento. Non si naviga al buio ma con una rotta definita e timonieri capaci.
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I segnali congiunturali – l’abbiamo già detto – tendono finalmente al meglio. L’Europa nel suo complesso è di nuovo al segno positivo per quanto riguarda il Pil, la produzione di beni e servizi, gli ordinativi delle imprese e le riserve. Gli Usa sono ancor più avanti, anche le cifre dell’occupazione registrano una costante ripresa. Qualche rallentamento si manifesta in Cina e in Brasile ma del tutto fisiologico e governabile.
In Italia fenomeni analoghi si manifestano ma con molta timidità, tuttavia dimostrano una continuità che non conoscevamo da molto tempo. Non ancora sul livello del reddito e dei consumi di massa, e tanto meno sull’occupazione, ma sicuramente nella produzione industriale, negli ordinativi e nelle esportazioni.
La pubblica amministrazione ha finalmente erogato 16 miliardi alle imprese creditrici, altri 20 saranno pagati entro la fine dell’anno; per un sistema strozzato dalla sua dipendenza dal credito questa liquidità è preziosa.
Tanto più lo sarà l’ingresso della Cassa depositi e prestiti sul mercato dei crediti a tassi accettabili e sul finanziamento di nuove infrastrutture con una disponibilità aggiuntiva di 97 miliardi, una cifra che può avere un effetto determinante sul mercato non solo della crescita ma del lavoro.
Infine il collocamento dei nostri titoli di Stato e delle emissioni obbligazionarie delle imprese. Il Bpt a medio termine va molto bene, il termometro dello “spread” è sceso a quota
250, con i risparmi che ciò comporta sugli oneri del Tesoro.
Insomma i segnali non mancano e le aspettative neppure; gli investitori esteri affluiscono, il turismo invece è ancora fiacco e quello è un punto che chiama soprattutto in causa le autorità territoriali. Incontri proficui avverranno questa settimana fra il Tesoro e i rappresentati dei sindaci. Per quel che si sa le prospettive di un accordo sono positive.
Sarebbe molto urgente una vera semplificazione burocratica. La legge sul “fare” è stata finalmente approvata ma è soggetta ad un’ampia serie di provvedimenti attuativi. Uno degli obiettivi è appunto la semplificazione, giustamente richiesta da economisti e operatori. Mi permetto solo di ricordare che l’economia Usa annovera una quantità di adempimenti burocratici diversi e moltiplicati dalla struttura federale che non ha riscontro in nessun paese del mondo; eppure la sua efficienza operativa è fuori discussione.
Il nostro vero problema (in questo giornale l’abbiamo segnalato da anni) sta soprattutto nella pluralità delle anime (uso volutamente questa parola per alludere alla molteplicità delle intenzioni) annidate nel Consiglio di Stato. Quello è il vero problema sul quale bisognerebbe intervenire rafforzando l’anima giurisdizionale di quel consesso e riducendo o addirittura annullando tutte le altre.
Quello che con brutta parola viene chiamato cronoprogramma di questo governo è comunque uscito rafforzato dall’incontro di Letta con i suoi più stretti collaboratori e di Napolitano con i rappresentanti del Pd.
L’Imu sarà abolita ma sostituita da una nuova imposta che avrà anche la casa come elemento ingrediente. L’aumento dell’Iva è praticamente scongiurato. Se non interverranno improvvisi tsunami Letta presiederà il semestre europeo di spettanza italiana e probabilmente nel 2015 il governo di scopo, o meglio il governo-istituzione, vedrà il suo termine.
Nel frattempo, in questo prossimo ottobre
dovrebbe essere approvata la nuova legge elettorale con la maggioranza del “chi ci sta ci sta”. Quanto alla riforma costituzionale, premono la riforma del Senato, il taglio nel numero dei parlamentari, l’abolizione delle Provincie. Entro quest’anno si deve anche approvare l’abolizione del finanziamento dei partiti, la legge sull’omofobia e il lavoro giovanile con il concorso finanziario europeo.
La presidenza semestrale italiana sarà essenziale per proiettare l’Unione europea verso un percorso federale e l’Unione bancaria.
Queste sono le “cosucce” che attendono Letta e scusate se è poco.
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Non mi viene molto da dire sul congresso del Pd. La data è stata praticamente fissata, la partecipazione alle primarie sul nuovo segretario sarà aperta, ma si vota per il segretario e non per il candidato premier. Questa carica è palesemente inopportuna mentre l’attuale presidente del Consiglio proviene dal Pd ed ha un impegno che – salvo sorprese – durerà due anni, strettamente abbinato con l’Autorità che ha il compito di nominare i presidenti del Consiglio e i ministri nonché quello dello scioglimento anticipato delle Camere quando ne ricorrano le condizioni e solo in quei casi.
I candidati alla carica di segretario sono numerosi, ciascuno con pregi e difetti come sempre e dovunque accade. La scelta è libera e il numero di possibili concorrenti è ampio. Quando saremo vicini al voto nei gazebo sceglieremo. Personalmente non sono tra quelli che considerano un logoro e inservibile “arnese” il Partito democratico e la sua classe dirigente.
Certo va risvegliata, rinnovata, svecchiata. Ma attenzione: non è l’anagrafe che comanda, è la capacità, la probità intellettuale ed anche l’esperienza. A me non piacciono molto gli uccelli canterini ma di più i seminatori e i coltivatori. Ognuno ha i suoi gusti.
La Repubblica 11.08.13