La proposta di Berlusconi è profondamente iniqua. Dietro la demagogia sulle tasse c’è una sostanza duramente classista: togliere ai poveri e alle classi medie per dare ai più ricchi. I numeri: l’Imu sulla prima casa vale quattro miliardi. Il 40% della popolazione non paga, o perché non è proprietario o perché è esente in virtù delle detrazioni vigenti. Sul 43% degli italiani gravano due miliardi di Imu e i restanti due sono a carico del 7% più facoltoso. Il governo Letta è intenzionato, giustamente, a ridurre il peso dell’Imu (anzi, a riformulare la tassa per evitare le tante storture di oggi). In un Paese con l’80% di proprietari dell’abitazione di residenza, una detassazione può avere anche effetti anti-congiunturali. Ma l’idea del governo è di dimezzare il gettito sulla prima casa: in questo modo oltre il 90% della popolazione verrebbe esentata, mentre l’onere della solidarietà fiscale resterebbe solo a carico dei più ricchi. Il capo della destra invece vuole azzerare tutto e fa della redistribuzione alla rovescia (dalle classi medie ai più ricchi) la propria bandiera. Fino a minacciare la vita del governo. Tutto ciò è inaccettabile. E non certo per una ragione classista, uguale e contraria a quella del Pdl. È inaccettabile per una ragione elementare di giustizia sociale e di efficacia della strategia anti-crisi. I due miliardi che Berlusconi vuole girare al 7% dei proprietari più ricchi sono il corrispettivo dell’aumento di un punto di Iva (che pagherebbero anche i più poveri, attraverso l’aumento dei beni di prima necessità), oppure del rifinanziamento della Cassa in deroga. Cosa pretende Berlusconi? Che venga esonerato dall’Imu il proprietario di una villa con piscina oppure di un’appartamento di lusso e che a pagargli lo sconto siano i cassintegrati e gli esodati?
Nessun governo potrebbe accogliere oggi, nel pieno di questa crisi, una simile proposta. Neppure se fosse in gioco la sua sopravvivenza. Il no alla tesi Pdl che ieri il ministro Saccomanni ha fatto filtrare dal sito del ministero dell’Economia e il no che oggi il segretario del Pd Epifani ribadisce sul nostro giornale sono la sola risposta possibile. Anzi, la sola compatibile con la continuità del governo. Si usi piuttosto l’ingegno per riformulare la tassa, per adeguare il catasto, per aiutare i Comuni, per andare incontro ai redditi più bassi e alle famiglie più numerose.
E qui veniamo alle ragioni politiche dello strappo di Berlusconi. A differenza di ciò che è stato scritto, il leader del centrodestra non ha affatto deciso se investire ancora sul governo Letta o se puntare ad elezioni anticipate. Vorrebbe «agibilità politica» (singolare espressione, presa in prestito dall’estremismo degli anni 70) nonostante la condanna e i suoi inevitabili derivati. Ma ha capito che non l’avrà. O meglio, non avrà nulla che non sia rispettoso della legge. Uno strappo alla legalità comporterebbe, questo sì, la fine automatica del governo. Per responsabilità sua. E allora non sa Berlusconi se far saltare il tavolo e tentare un’avventura elettorale con l’obiettivo di rendere ingovernabile anche la prossima legislatura. Ovviamente per questo confida nella sponda di Grillo (che non vuole leggi elettorali maggioritarie). Comunque sia, decida al più presto. All’alibi dell’Imu per far nascondere la condanna e i suoi effetti non crede nessuno. Il governo Letta, per parte sua, non potrà mai aumentare l’Iva o lasciare senza soldi i cassintegrati per azzerare la tassa sulla prima casa ai più ricchi. Piuttosto è Berlusconi che, se non ci sarà il voto immediato, dovrà fare i conti con la successione alla guida della destra.
L’Unità 10.08.13