Il Pdl è a caccia di un salvacondotto parlamentare per Silvio Berlusconi. Ieri Renato Brunetta e Renato Schifani, capogruppo alla Camera e Senato, sono saliti al Quirinale per parlare con Giorgio Napolitano. «Non capisco in che cosa potrebbe consistere questo salvacondotto» commenta Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale. I legali dell’ex Cavaliere non pensano alla «grazia» bollata subito da Napolitano come «analfabetismo istituzionale», ma ad un differente atto di clemenza o al ritocco della Severino. O alla commutazione della pena da detentiva a pecuniaria. Quanto alla possibilità che Berlusconi resti senatore, dopo la condanna della Cassazione, il costituzionalista non ha dubbi: «Deve lasciare il Parlamento».
Professore, la «grazia» all’ex premier è possibile?
«Sul piano giuridico non è impossibile. È impensabile, perché sarebbe assurdo che si adottasse un provvedimento di questo genere all’indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e senza che sussistano quelle eccezionali ragioni umanitarie che stanno alla base dell’istituto della grazia, come ha detto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 200 del 2006, né altre apprezzabili ragioni di interesse pubblico. Per questo, dico che è impensabile».
Gli avvocati di Berlusconi pensano anche alla richiesta di commutare la pena detentiva in pecuniaria. Viene richiamato il cosiddetto “modello Sallusti”.
«In quel caso c’era come ragione giustificatrice il fatto che, secondo molti, la pena carceraria per fatti di diffamazione non è giustificata. Qui non è che la pena prevista dalla legge e concretamente inflitta sia inadeguata rispetto al reato commesso».
Ma nel Pdl si grida al «vulnus democratico» con Berlusconi escluso dalla politica.
«Non è che non può fare più politica, anche se decade da senatore. Guardiamo Grillo: non è né deputato e né senatore, non fa politica? Eccome, se la fa». Quindi non cambia niente.
«Ma andiamo alla sostanza…».
In che senso?
«Il vero problema è che non può esistere un intero schieramento politico, elettoralmente forte e rappresentato in Parlamento, e persino nel Governo, che faccia dipendere le proprie sorti e le proprie scelte esclusivamente dalla posizione e dagli interessi personali del suo attuale leader. Il nostro vero problema è che occorre si manifesti una destra capace di liberarsi da questa ipoteca personalistica, ne abbiamo bisogno. Probabilmente c’è nel Paese, e magari anche in Parlamento».
Nel frattempo il Pdl detta le condizioni a Letta per continuare a stare nel Governo.
«Questo dipenderà da cosa faranno anzitutto i ministri del Pdl. Domenica non erano nella piazza dove parlava Berlusconi, e questo è un fatto positivo. Se continueranno a fare i ministri nell’interesse della Repubblica, finalmente potrebbe avviarsi il processo di liberazione del centro destra da questa ipoteca personalistica».
Berlusconi condannato a quattro anni in base alla Legge Severino – Monti dovrebbe decadere anche da senatore. «È così. In base a questa legge ricade nella ipotesi di incandidabilità sopravvenuta».
Ma per i berlusconiani questa ipotesi non dovrebbe scattare. «E perché non dovrebbe essere applicata?».
Secondo il costituzionalista Giovanni Guzzetta e per il Pdl la legge Severino non si potrebbe applicare a Berlusconi. «Questa non è una norma penale in senso stretto, che stabilisce cioè una sanzione penale, per la quale valga il principio di irretroattività rispetto al momento del fatto commesso. Questa è una norma sulla eleggibilità, che stabilisce un requisito negativo (l’assenza di condanne definitive di un certo tipo), già previsto nel momento in cui l’elezione è avvenuta (abbiamo votato a febbraio e la legge Severino è precedente). Un requisito di eleggibilità deve sussistere nel momento dell’elezione e permanere per la durata del mandato. Non ha niente a che fare con il momento in cui è stato commesso il fatto che ha provocato la condanna penale definitiva. Il principio di irretroattività dei reati e delle pene qui non c’entra. Conta dunque non il momento del fatto commesso e penalmente rilevante, ma il momento in cui è stata pre- vista, prima delle elezioni, la causa di ineleggibilità, cioè l’esistenza o la sopravvenienza di una condanna definitiva di un certo tipo».
In ogni caso l’ultima parola spetta al Senato.
«L’assemblea del Senato deve pronunciarsi. Ma secondo me non può che prenderne atto. Poi tutto può essere quando si decide non in base al diritto, ma in base a interessi politici. Io direi che la deliberazione di decadenza dovrebbe essere obbligata. Quindi, sarebbe bene che l’interessato si dimettesse spontaneamente, come ha fatto Previti a suo tempo».
E se il Senato decidesse diversamente?
«Commetterebbe una illegalità».
Eppure Berlusconi continua a parlare di persecuzione giudiziaria nei suoi confronti.
«Ogni qualvolta c’è una condanna o un processo a suo carico si parla automaticamente di una scelta politica persecutoria. Tutto ciò è assurdo. Anche se può essere vero che in qualche caso qualche Procura abbia manifestato nei suoi confronti un certo “accanimento” (d’altronde è il destino degli uomini pubblici quello di essere esposti, più dei comuni cittadini, all'”occhio” severo della legge e della giustizia), nel nostro caso siamo di fronte ad un giudizio definitivo e motivato, cui hanno concorso un Tribunale collegiale, una Corte di Appello egualmente collegiale e un collegio della Cassazione con cinque componenti».
L’Unità 06.08.13