Cento giorni al Collegio Romano: dal 28 aprile scorso quando ha giurato nel- le mani del Capo dello Stato come Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Massimo Bray si è trovato a dirigere uno dei dicasteri più difficili del nostro paese. Sul suo tavolo giacevano 40 mila bollette da pagare di musei, archivi, biblioteche, depositi. Pochissimi fondi per emergenze, zero pianificazione, personale ridotto all’osso. Nervi saldi e toni calmi, Bray si è messo al lavoro. Cosa è successo da allora?
«Fin dal primo giorno il governo ha messo al centro delle sue attività la cultura, quando il presidente del Consiglio Enrico Letta ha detto con chiarezza che in questo settore non ci sarebbero stati tagli. Erano parole importanti, poiché mi sono trovato di fronte ai segni di un Paese che all’apparenza non sembrava più credere nel valore della cultura».
Eppure una sensibilità per la cultura in Italia c’è sempre stata: sabato sera, mal- grado le contestazioni, si è inaugurata l’area pedonale dei Fori a Roma. «Roma è uno dei luoghi simbolo della cultura, da rendere al meglio fruibile: assieme alla amministrazione cittadina a giorni faremo delle scelte importanti, ma già da questo esempio si capisce l’esistenza di una sensibilità molto forte. L’ho avvertita da parte dei cittadini che, anche attraverso i social network, ci hanno segnalato emergenze e inviato suggerimenti sulle priorità, con un continuo invito a essere presenti. Forti anche di questo siamo arrivati al decreto Valore Cultura».
Prima di analizzarne alcuni aspetti, qual è il senso strategico di questo provvedimento?
«Il governo, quindi tutto il Consiglio dei Ministri, hanno reso concreta la scelta di mettere al centro della loro azione la cultura, per dimostrare un differente modo di essere in un Paese che vuole tornare a crescere, vuole dare occupazione, affidando alla cultura e al turismo delle leve importanti del cambiamento».
L’articolo 1 del decreto è dedicato a Pompei, perché?
«Perché il mezzogiorno deve essere simbolo della rinascita. Questo richiedeva una svolta per riuscire a dare risposte rapide».
Si ha l’impressione che finora nel progetto su Pompei con i fondi dell’Unione Europea ci sia stato un problema di trasparenza: cosa succederà con questo decreto?
«La trasparenza mi auguro debba essere una delle linee portanti di tutto il mio lavoro. A Pompei abbiamo creato un comitato per la trasparenza coordinato dal prefetto, e andremo avanti sempre con maggiore convinzione per portare a compimento entro il 2015 i bandi che godono dei finanziamenti europei. È una risposta chiara all’Europa e a coloro che ci chiedono azioni forti per Pompei».
Con il decreto per Pompei si torna a una diarchia tra una soprintendenza speciale e un direttore generale?
«Non sarà una diarchia: quello che ci chiedono i cittadini, anche per Pompei, è di tornare a collaborare, a fare sistema, interrompendo il lungo periodo in cui ci siamo contrapposti gli uni agli altri, spesso per interessi particolari. Pompei può essere per l’Italia il luogo dove mostrare la capacità di centrare l’obiettivo di tutelare un bene considerato patrimonio dell’umanità».
In «Valore Cultura» si punta sulla trasparenza, ma per ora solo le organizzazioni di spettacolo sono obbligate a pubblica- re i guadagni dei loro dirigenti: perché gli altri no?
«Si è iniziato dalle istituzioni di spettacolo. Per le altre, dove si possono presentare problemi, è mia intenzione dare un indirizzo e sono convinto che ci arriveremo. Ma la trasparenza è una scelta di fondo per mettere in moto un ciclo virtuoso».
Nel decreto l’articolo con più comma è dedicato alle Fondazioni lirico-sinfoni- che (Fls): c’è stata maretta?
«Non c’è stata contrapposizione, ma è certo l’articolo su cui abbiamo lavorato di più, perché la situazione delle Fls era di forte squilibrio economico. Abbiamo trovato le risorse per impedire la chiusura di una parte di questi teatri che conservano una delle grandi tradizioni culturali italiane. Ma abbiamo anche tracciato alcune linee su come dovranno essere governati in futuro i grandi teatri lirici, per una riforma che sarà fatta in parlamento, con le com- missioni cultura e gli enti locali. Dunque un lavoro non semplice».
Il debito delle Fls è di 330 milioni, ne avete trovati 75, come saranno utilizzati? «In parte, come ci impongono le regole europee sarà un prestito, che verrà concesso a rotazione, in parte si tratterà di fondi a disposizione del Ministero per le situazioni di emergenza».
Il Maggio Musicale si potrà salvare?
«Sì, come altri teatri, ma i criteri per accedere a questi finanziamenti sono molto rigorosi, con l’impegno a rispettare i conti, la rinuncia ai contratti integrativi da parte dei lavoratori, e una mobilità degli amministrativi in esubero verso il ministero».
Anche i musicisti delle orchestre mi pare abbiano dato la loro disponibilità.
«Riguardo alle Fls vorrei sfatare alcuni luoghi comuni, tipo l’idea che la cultura sia troppo costosa. Alcune cose andavano riviste e lo abbiamo fatto con tutte le rappresentanze, dagli enti locali alle parti sociali, perché ogni volta che c’è un problema economico credo sia troppo facile risolverlo mettendo per strada i lavoratori».
Il ministero rientra in possesso degli introiti dei biglietti dei musei e siti culturali che gli erano stati abilmente sottratti nel 2008: come li utilizzerete?
«Quei soldi devono rientrare in possesso del Mibac per fare programmazione, per puntare sull’innovazione e far fronte in tempi rapidi alle emergenze. Provengo da Sibari, uno dei siti archeologici più belli del mondo, dove si è fatto fatica a trovare i fondi quando c’è stata un’esondazione. Non deve più succedere».
Uno dei tratti fondamentali del decreto sembra essere lo sforzo di portare la cultura fuori dalle misure più draconiane della spending review: è un modo per sancire la specificità della cultura e la sua situazione di emergenza?
«Ha letto bene lo sforzo, che non è solo mio, ma anche di Enrico Letta e del ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni, che in questi giorni era stato terrorizzato dalle continue visite del Ministro della cultura, ma ha dimostrato grande sensibilità per esempio con il tax-credit sul cinema. Significa un incentivo anche alle industrie straniere a investire in Italia. E tengo molto anche al pur piccolo tax-credit che, probabilmente per la prima volta per il nostro paese, è dato alla musica: negli ultimi anni è stata un terreno molto fertile, ma di cui credo non ci si sia accorti».
Il decreto crea delle soluzioni a molte urgenze: con la prossima finanziaria il governo ha intenzione di riportare la cultura dall’emergenza alla normalità? «Spero davvero che nella prossima legge di stabilità si possa tornare a investire in questo settore».
Alla campagna de L’Unità per «Rai Teatro» avete risposto positivamente: ora che succederà?
«A settembre ci sarà il tavolo per riportare il teatro in televisione. I direttori Rai Gubitosi e Sinibaldi mi hanno fatto vedere i loro piani, ma soprattutto è importante che Mibac e Rai collaborino sul teatro e la cultura».
L’Unità 05.08.13
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