Stupisce che nello scontro in atto tra “revisionisti” e “difensori” della Costituzione sia assente o ai margini, la questione-madre di tutte le questioni istituzionali. È la questione delle garanzie sostanziali del nostro ordinamento. Quelle che riguardano il cittadino come persona, come elettore, come rappresentato in Parlamento. Questi sono infatti i tre aspetti di un attuale disordine istituzionale che ferisce il comune sentire pubblico: quello che ancora cerca nella Costituzione la riserva immunitaria contro abusi e storture.
Non occorre andare lontano nel tempo per avvertire su di noi il peso di queste offese. Ci sono tre esempi vicini.
Primo. Ognuno di noi, come persona, ha avvertito una intima sofferenza alla rivelazione che la polizia del nostro Stato possa accorrere in soccorso dei sequestratori di una donna e di una bambina, e li aiuti a deportarle da un nostro aeroporto verso un oscuro “asilo”. Mentre il nostro sistema giudiziario, famigerato nel mondo per le sue lentezze, nulla ha da dire, da obiettare, da controllare, da impedire: accondiscendendo ad una urgenza, di per sé, clamorosamente sospetta.
Secondo. Ognuno di noi, come cittadino che vota, sente l’insopportabile frode compiuta “a norma” di leggi elettorali: leggi che in una Camera alterano artificiosamente il risultato delle votazioni, gonfiando il numero dei seggi di chi ha un solo voto in più: senza una base minima che possa legittimare un premio di governo a chi “non” ha vinto le elezioni. E leggi che, invece, nell’altra Camera, sono fatte in modo da impedire, una qualche ragionevole governabilità: frammentando regionalmente il voto “nazionale”.
Terzo. Ciascuno di noi, come rappresentato in Parlamento, si sente impotente e avvilito quando sa che il dispotismo di maggioranza può imporre leggi assurde e costituzionalmente dubbie. Senza che né lui direttamente né la minoranza parlamentare per cui ha votato possano chiedere un controllo esterno, “prima” che quelle leggi producano danni. Mentre in tutto il Continente europeo non è così: e i tribunali costituzionali possono essere chiamati a verificare a giudicare, “prima”, sulla legittimità delle leggi.Tre esempi: ma abbastanza mostruosi per convincere qualsiasi persona ragionevole che l’unico possibile avvio del cammino delle riforme sta lì dove gli attentati alla sicurezza democratica sono in atto, dove l’ordinamento mostra incredibili lacerazioni alle “tradizioni costituzionali comuni” degli Stati europei.
Il percorso di modifica ha invece preso le mosse dalla questione di governo e dalle sue forme. Discorso certo da fare con tutta la forza e la sollecitazione che la Grande Crisi impone. A patto però da non dimenticare che la base su cui tutto deve reggersi è nella sostenibilità democratica dei rapporti tra i cittadini e l’apparato pubblico, tra gli elettori e il loro Parlamento, tra i cittadini e la giustizia costituzionale.
Ora come ora, la questione delle garanzie — e soprattutto di “queste” garanzie: l’habeas corpus, la verità elettorale, la tempestività dei rimedi costituzionali — è invece classificata come secondaria. Come cosa da risolvere poi, in appendice: dopo aver parlato di bicameralismo, di regionalismo, di presidenzialismo e di altro ancora. Come l’imbiancatura finale da non menzionare neppure nel cosiddetto “cronoprogramma » disegnato.
C’è un errore di metodo. Chi è consapevole della situazione italiana, capisce che solo il preventivo riordino delle garanzie potrebbe rendere più agevole e persuasiva la via per nuovi e più efficaci conformazioni del potere pubblico di decisione.
Ecco: come si vede, questa semplice rilevazione di primarie necessità pratiche a cui provvedere — ricostruire la fiducia e la sicurezza dei cittadini nell’ordine privato, giudiziario, ammini-strativo, parlamentare — si allontana dallo scontro teorico in atto sulla stessa legittimità delle procedure scelte per cambiar le norme della nostra Costituzione.
Se ne distacca per due ragioni. Innanzitutto, perché per attuare queste tutele è necessario non disperdere, ancora una volta, il patrimonio di faticosi e costosi accordi politici e di simbolici interventi istituzionali, che è stato investito per un processo riformatore. In secondo luogo, perché la prima e migliore difesa di una Costituzione e delle sue necessarie rigidità è nel complesso delle garanzie sostanziali in essa incorporate, nei “principi supremi”, più che in norme “di chiusura” procedurale. Tutti sanno che non c’è nulla di più stabilmente “rigido”, in questo senso, dell’ordinamento del Regno Unito, organismo — più che sistema formale — costituzionale. Mentre una limitata e compensata variante procedurale — in vista però di nuove garanzie — potrebbe essere considerata come corrispondente alla stessa intima natura di un «giusto» processo di sviluppo costituzionale.
Così fu per il caso della Convenzione per la redazione della Carta dei diritti fondamentali della Ue (finora, l’unico vero risultato “costituzionale” dell’Unione): istituita per decisione allora non prevista nell’ordinamento comunitario. Ma se è sbagliato fermare il treno, già ansimante, delle riforme costituzionali, è del tutto doveroso chiederne un diverso tragitto: una inversione, insomma, dell’ordine del giorno e della scala di priorità. Mettendo innanzi e in cima i rimedi che servono al cittadino contro i meccanismi elettorali senza rappresentatività, gli abusi degli apparati, il dispotismo delle maggioranze, l’oscurità delle leggi.
È sul fronte di queste garanzie sostanziali che (da che mondo è mondo) si gioca il destino – e l’unità – di una democrazia costituzionale. E su questo “fronte” è francamente difficile dividersi.
La Repubblica 01.08.13
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