Siamo il paese delle favole ma non sempre è una buona cosa raccontarle ai bambini. I piccoli innocenti a forza di far domande, come è loro abitudine, possono accorgersi che quelle seducenti narrazioni non sono frutto della fantasia ma di una improvvida passione per la verità. In un caso o nell’altro questo disvelamento può provocare alterazioni di giudizio o esagerate reazioni in menti ancor vergini, vuoi risvegliando desideri smodati o avversità altrettanto incontrollate. In ogni modo lo specchio delle incaute brame questa volta non fornisce agli incuriositi fanciulli il ritratto dei più belli del reame ma quello dei più ricchi. In città e paesi dove ogni giorno si cerca di spiegare perché il papà guadagni sempre meno, la mamma abbia perso il posto ed il nonno si sia vista tagliata la pensione, fa un curioso effetto leggere (ma quale lettore di scarse risorse vi si dedica?) la miracolosa classifica dei cento supermanager che anche quest’anno si son visti lievitare gli introiti a livelli per taluni stratosferici e per altri di raro conforto. Ce lo racconta con dovizia di dati
Il Sole 24 Ore, basandosi su cifre che le società quotate in borsa sono obbligate a pubblicare (una volta tanto, evviva la trasparenza!). Dalla lista – più ricca di 50 milioni in confronto all’anno precedente – risulta che questa eletta schiera di dirigenti nel 2012 ha messo assieme la ragguardevole somma di 402 milioni lordi di euro. Dalla specifica delle voci risulta che nessuno dei beneficiati può essere annoverato fra i “padroni”, cioè non ricavano il guadagno da un profitto, soggetto in genere a rischio, sui capitali d’impresa. I loro introiti risultano da voci che si aggiungono ai vecchi stipendi e risalgono spesso a quote avulse dai profitti reali, decise dai ristretti gruppi finanziari che controllano ormai le aziende e determinano un invidiato gruppo di retribuzioni privilegiate, dissociate dai bilanci dell’impresa. Ne deriva uno stravolgimento delle norme dettate da una corretta e tradizionale economia di mercato e basta leggere molti dei nomi elencati da “Pay watch 2012”, come si denomina la ricerca in questione, per rendersene conto. La pseudo retribuzione è formata da varie voci che possono anche essere variabili: gli stipendi, i bonus, le eventuali buonuscite, le plusvalenze per l’esercizio di
stock option, il controvalore di azioni gratuite assegnate l’anno precedente. Sono esclusi dal totale i benefici non monetari come le polizze sanitarie, previdenze integrative, auto e case pagate dall’azienda, che talvolta sfiorano il mezzo milione.
La maglia gialla dei cento super pagati – che sarebbe più esatto denominare “maglia grigia” per la costanza della sua divisa d’ordinanza – è Sergio Marchionne, campione della Fiat e di alcune altre società collegate al gruppo di Torino-Detroit. Chi in questi anni ha ricavato qualche impressione negativa dai risultati annunciati non tema di essersi sbagliato: i congrui emolumenti del capo non corrispondono ad un repentino volgersi delle fortune aziendali, visto che a consuntivo ha goduto di 47,9 milioni di euro complessivi. Per contro dal 2000 al 2012 la quota di mercato della Fiat in Italia è scesa dal 32,8 % al 29,6% e in Europa dall’8,7 al 6,4%. Inoltre col bilancio 2012 la Fiat spa non ha distribuito dividendi ai soci. Uno splendido esempio di austerità. Infine qualche paragone: il compenso di Marchionne paragonato ai 16 mila euro lordi annui di un operaio Fiat è pari a 460 volte; analogamente Luca di Montezemolo, con 5,5 milioni annui, prende 354 volte un operaio Ferrari. Varrebbe la pena pubblicare l’intero elenco, ma trattandosi di una favola sarebbe troppo noioso. Piuttosto Papa Francesco dovrebbe mutare il suo insegnamento: «Un paese non si giudica da come tratta i propri poveri, ma da come tratta i propri ricchi».
La Repubblica 29.07.13