Nello scenario disegnato dalla crisi, con sfide inedite da affrontare e nuovi percorsi di crescita da realizzare, il ruolo delle donne può essere decisimo. Per orientare le politiche pubbliche alla ripresa economica e produttiva, alla riduzione delle diseguaglianze, alla coesione sociale e all’equità, non si può prescindere oggi dall’analisi e dalla verifica dell’impatto di genere, sulla scia dell’impostazione mainstreaming assunta in sede europea sin dal 2006.
Oggi in Italia le donne continuano a dover affrontare condizioni di vita più dure e discriminatorie. È una questione di modelli culturali, di stereotipi, di debolezze di sistema, di inefficacia delle politiche pubbliche.
Oggi in Italia lavora il 47,1% di donne, rispetto ad una media Ue del 58,6%. Chi lavora poi fatica a trovare posizioni qualificate, viene pagata meno degli uomini, non riesce a fare carriera. Ancor più con la crisi: tra il 2008 e il 2012, secondo i dati Istat, si sono persi 376.000 posti di lavoro qualificati occupati da donne, mentre le posizioni non qualificate sono 242.000 in più. Inoltre le donne continuano a essere pagate meno degli uomini: il gender pay gap italiano indica che, a parità di altre condizioni, in media la retribuzione oraria delle donne è dell’11,5% inferiore a quella degli uomini.
Pochi dati, ma già sufficienti a definire il sistema di disuguaglianze e disinvestimento economico in cui ci troviamo. Il fatto che poche donne lavorino e che siano relegate a ruoli meno qualificati determina uno spreco di un potenziale, quello femminile, che potrebbe essere il vero volano della crescita. Le donne hanno energie e intelligenze capaci di produrre qualità, etica, ugua- glianza, sviluppo. Ma in Italia vengono sprecate, quando non disprezzate.
Il ddl «Disposizioni per la valutazione dell’impatto di genere della regolamentazione e delle statistiche di ge- nere», che abbiamo presentato ieri, con firme di tutti i gruppi parlamentari, vuole essere un grimaldello per sbloccare la situazione, e fare in modo che le scelte che abbiamo di fronte per far tornare la crescita siano orientate da un punto di vista di mainstreaming di genere.
Il ddl prevede un insieme articolato di misure mirate ad evitare che decisioni politiche e atti istituzionali – apparentemente neutri rispetto al genere – possano avere un impatto diverso su donne e uomini, anche non voluto.
È prevista l’istituzione di un Osservatorio consultivo sull’impatto di genere della regolamentazione pubblica. La produzione sistematica di statistiche ufficiali di genere, impegno già assunto dall’Italia con la sottoscrizione della piattaforma della Conferenza dell’Onu di Pechino sulla condizione femminile, nel 1995. Il coordinamento, poi, delle amministrazioni in materia di analisi e verifica dell’impatto di genere delle normative.
La modifica, ancora, del codice delle pari opportunità tra uomo e donna e della legge di riforma della contabilità pubblica, per includere l’analisi di impatto di genere in termini economici ed occupazionali.
Il ddl mette l’Italia in linea con le indicazioni europee: nella tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 della Commissione si sottolineava che «l’applicazione di metodologie in tema di parità tra donne e uomini, quali la valutazione dell’impatto rispetto al genere e il bilancio di genere, favorirà la parità tra donne e uomini e apporterà maggiori trasparenza e affidabilità».
È l’ambizione di questo ddl. Non un intervento circoscritto, urgente e culturale insieme, come ad esempio le proposte contro il femminicidio, con cui procede in parallelo, ma un modo per cambiare completamente la prospettiva di governo e di produzione normativa.
Il ddl è uno strumento, nell’insieme delle sue misure, di analisi preventiva e poi di verifica degli effetti delle normative e delle politiche pubbliche su cittadini e im- prese. Se approvato, come mi auguro, permetterà all’Italia una concreta azione di equilibrio nelle condizioni di vita di donne e uomini, integrando organica- mente nel nostro sistema la cultura e le misure di mainstreaming di genere.
Sarebbe un bel segnale di cambiamento, un risultato importante per il Parlamento con più donne di sempre. Un incoraggiamento per il futuro, con la consapevolezza, però, che questa non è una battaglia delle donne, ma è la sfida dell’Italia.
L’Unità 24.07.13