Da dove comincio, ora che devo parlare di Vincenzo? Dal suo amore per la letteratura o da quello per il cinema, da Roma o dal teatro, dalla musica o dalla politica? Che vita meravigliosa ha vissuto il mio amico Vincenzo!
La dea della fortuna, vestita da dna, gli aveva regalato un’intelligenza da fuochi d’artificio e il volto bello di un senatore romano. Gliel’ho detto mille volte: «Tu hai Roma scritta in faccia». E poi la vita, agghindata dal caso, lo ha fatto incontra- re con Pier Paolo Pasolini che nella sua esistenza ha lasciato segni indelebili. Era- no legati da un filo invisibile, uno di quelli che a inventarli non ci si riesce. Il giorno in cui Vincenzo è nato, il due novembre, è lo stesso in cui Pier Paolo è stato ucciso.
Per tutto il suo tempo Vincenzo ha viaggiato, tutta la vita ha viaggiato. Ha conosciuto porti dove non è stato, persone che non ha mai visto. È stato in tempi antichi, che non ha vissuto. La sua vita ne ha contenute mille altre. La sua vita, come una cornucopia, ha deposto nelle esistenze altrui parole e pensieri, personaggi e sogni che hanno mutato ciascuno. Ogni talento dell’arte forgia la vita degli altri. La sua specialità umana lo avvicina alla funzione divina, perché la sua creazione, non per caso così si chiama, è come un soffio vitale: plasma, modifica. E, in cambio, la storia e la memoria regalano l’immortalità. Perché Shakespeare e Chaplin, Cechov e Caravaggio certamente non sono, come si dice pietosamente, «scomparsi».
E non scompariranno, mai, «Il borghese piccolo piccolo» o il Canaro dei «Fattacci» o Giosuè che cercava i bambini come lui. Chissà se hanno pianto, scrivendo questo dialogo tra un bambino e suo padre nel campo di sterminio, Roberto Benigni e Vincenzo:
GIOSUÈ Si può andare?
GUIDO Certamente! Non crederai mica che tengono qui la gente per forza! (Pensa) Ci si ritira, ci si scancella. Peccato, perché eravamo primi.
Finge di cercare il bagaglio
GUIDO Dove l’ho messa la valigia…. Aspetta….Il carro armato vero lo vincerà un altro bambino…
GIOSUÈ Quale? Non ce n’è più di bambini, sono solo!
Guido scende dal letto.
GUIDO Non c’è più bambini? È pieno così! Zeppo di bambini.
GIOSUÈ E dove sono?
GUIDO Son nascosti, non si devono far vedere. È pieno di bambini nascosti. È un gioco serio….
«Scomparirà» mai l’emozione che abbiamo vissuto vedendo questa scena? Abita milioni di cittadini del mondo che hanno pianto e pensato seguendo il filo dell’emozione costruita da due talenti popolari e arricchita dalle musiche di un terzo antico sodale, Nicola Piovani.
«È tutta la vita che gioco», ha scritto Vincenzo nella prefazione ad un suo libro di racconti. Eppure aveva una naturale predisposizione ad essere maestro, uno di quelli che quando li incontri ti cambiano la vita. I suoi «Consigli ad un giovane scrittore» sono una saga della generosità. Era veloce e profondo, due cose che raramente convivono. Era spiritoso, non se la tirava, era generoso, non faceva la parte dell’intellettuale lontano dalle cose del mondo. Gli piaceva lo sport e la vita. Gli piaceva ridere e sfottere gli altri. Era simpatico, terribilmente simpatico.
La nostra amicizia è cominciata sulle colonne di questo giornale. Vincenzo era tra i più conosciuti e autorevoli di una folta squadra di scrittori, per lo più giovani, che cercavano su l’Unità di raccontare e capire il presente. Nelle parole che arrivavano in redazione, il giusto numero di battute e l’ora di consegna rispettata, si poteva trovare il suo sguardo. Quello sul mondo, largo inquieto e includente, e quello sulle persone che oscillava tra tenerezza e severità. Io l’ho sentito vicino in ogni momento della mia esperienza politica, culturale e giornalistica. Gli chiesi di entrare a far parte della prima segreteria del Pd e poi di diventare ministro ombra per la cultura. Due incarichi che svolse con passione e intelligenza, come sapeva fare lui. Smise quando io mi dimisi. E su quei giorni ha lasciato lucidissime pagine di analisi politica. Perché Vincenzo aveva una finissima sensibilità politica. Avevamo creduto in un sogno e lo avevamo fatto insieme. Ci capivamo. Eravamo romani, di sinistra e curiosi. Non è poco.
L’ultima volta che l’ho visto, ad una manifestazione a Monteverde su Pasolini, mi ha detto che stava bene. Ma il suo volto scavato diceva che non era vero. Forse giocava come Giosuè, pensava che quella brutta bestia si fosse nascosta così bene che non sarebbe mai ricomparsa. Il giorno dopo mi arrivò il suo ultimo libro di poesie. Sono bellissime, tutte. Ma ce n’è una che mi strappa il cuore. È dedicata alla città che aveva scritta sul volto e a un certo punto dice:
«Bisogna aspettare che ondeggi il vento
Degli altipiani
per sentire il profumo Delle rose dell’Aventino
O della corona di pini in cima ai colli.
Così, a Roma
– bruciato tutto l’olio –
Nel pomeriggio
Qualcuno prova a guardarmi
Mentre chiudo in me
Il sogno spezzato».
E poi finisce così, come finisce questo ricordo del mio amico Vincenzo, «Lo chiudo senza un finale Perché ogni fine è sempre la morte».
L’Unità 18.07.13