Il grande malato uscito dalla valutazione dell’Anvur è, purtroppo, il Consiglio nazionale delle ricerche, il maggior ente italiano. Nelle classifiche quasi non appare, se non sporadicamente e dietro ad altri, come nelle scienze della Terra o nelle scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche. «Il lavoro compiuto dall’Anvur è indispensabile e prezioso ma ritengo che il decreto istitutivo della valutazione vada rivisto perché i suoi criteri penalizzano il Cnr», afferma il suo presidente Luigi Nicolais, illustre ricercatore ed ex ministro delle tecnologie e dell’innovazione.
«Il Cnr tende all’interdisciplinarità — aggiunge Nicolais — e ciò rende difficile la considerazione con l’attuale sistema. Inoltre le nostre ricerche hanno vari autori e quindi i prodotti escono numericamente inferiori, ma soprattutto la metà dell’attività del Cnr è rivolta alla valorizzazione della ricerca cercando il trasferimento alle aziende. E questo pone in una condizione diversa la nostra produttività rispetto, ad esempio, a quella dell’Istituto nazionale di fisica nucleare che si occupa solo di ricerca pura. Non si possono mischiare insieme mele e pere. Il Paese ha bisogno di innovazioni ed è quello che cerchiamo di favorire. La valutazione è un passo avanti ma ci sono punti negativi da eliminare. Io stesso sono rimasto male».
«Le regole erano uguali per tutti — ribadisce Stefano Fantoni, presidente dell’Anvur —. I prodotti mancanti hanno penalizzato il Cnr ma anche in altri enti si sono considerate le iniziative come i trasferimenti di tecnologia alle industrie». «Il Cnr deve riprendere il suo cammino — nota Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano —. Il Paese ha bisogno del grande ente capace di fare da riferimento. Ma penso che varie siano le ragioni che lo hanno danneggiato, a partire dai pochi fondi garantiti che impediscono di fare ricerca, di innovare le attrezzature e di assumere gente giovane».
«Credo sia stato un errore di metodo all’interno del Cnr — nota Stefano Cingolani, direttore dell’Iit genovese — a mio avviso doveva essere compiuta una valutazione per istituto e il risultato sarebbe stato diverso. È un peccato perché ci sono ricercatori eccellenti e Luigi Nicolais è persona di grande competenza nella ricerca e nella sua gestione».
Il ministro Maria Chiara Carrozza ha messo in evidenza come uno dei punti deboli usciti dalla valutazione sia proprio il rapporto tra Università, enti di ricerca e industrie, indicandolo, quindi, come una via sulla quale lavorare più seriamente. Ma questo è un male antico di cui non si è mai guariti nonostante i tentativi compiuti a partire dagli anni Settanta con i progetti finalizzati del Cnr.
«La ricerca è debole nel nostro sistema — ammette Ivan Lo Bello, vicepresidente per l’Education in Confindustria —. Però la questione è da considerare con dei distinguo. Abbiamo certamente molte piccole e medie aziende che non hanno risorse da dedicare alla ricerca e non hanno rapporti col Cnr o le università. Ma ce ne sono altre, in particolare le grandi società, che investono cifre rilevanti al pari dei concorrenti stranieri e mantengono legami con il mondo della ricerca pubblica. Comunque, questo problema storico negli ultimi tempi mostra una dinamica ben diversa dalle considerazioni che possono emergere dalla valutazione fermata a tre anni fa. Con lo stesso presidente del Cnr Nicolais abbiamo avviato preziose iniziative che daranno frutti utili nei prossimi anni».
Nella valutazione che ha riguardato la maggior parte delle attività nazionali non sono stati inclusi alcuni importanti centri come l’Istituto Mario Negri e l’Ifom per la ricerca oncologica, entrambi di Milano. «La prossima valutazione si effettuerà fra cinque anni» ha precisato Fantoni. Forse per allora il panorama sarà completo.
Il Corriere della Sera 17.07.13