Ricorre quest’anno il Cinquecentesimo anniversario della pubblicazione di uno dei capolavori del pensiero mondiale, Il Principe di Machiavelli, opera che rivaleggia con la Divina Commedia di Dante per traduzioni dalla nostra lingua. Se avrete la pazienza di rileggere la fatica del Segretario fiorentino resterete impressionati da come, nella sua visione del Potere, degli Interessi, della Forza e della Strategia nulla sia mutato dai turbolenti giorni delle Corti e dei Principati. Obama contro Putin, Xi Jinping contro il premier giapponese Abe, le manovre navali congiunte Mosca-Pechino, i marines che
arrivano in Australia, l’intero nostro tempo ancora si inquadra nel Potere che
si fa Leone, Volpe, che si cura di Essere o di Apparire, di far Paura o indurre
Amore.
Tutto, tranne i social media, il web, l’epoca dei personal media che rendono
il Potere sottoposto a un caleidoscopio di informazioni, controlli, dibattiti,
trasparenza. Se i familiari di Muktar Ablyazov, dissidente kazako, fossero
stati deportati dall’Italia al loro Paese nei giorni della vecchia diplomazia e
del vecchio potere, secondo la sintassi feroce così genialmente studiata (non
difesa, si badi) da Machiavelli, nessuno di noi avrebbe mai sentito parlare di
loro.
E questo articolo non sarebbe mai finito in prima pagina su La Stampa.
Soffrire di nascosto e in silenzio era la pena dei deboli, imporre la loro
ferrea volontà a piacimento era il privilegio dei forti. L’esilio, l’oblio, l’
emarginazione, condivise da Dante e Machiavelli, venivano comminate dal solo
capriccio del Principe. Se oggi il governo di Enrico Letta, Angelino Alfano ed
Emma Bonino, dopo una campagna di opinione pubblica guidata da questo giornale,
torna sui propri passi e riconosce l’incongruenza di affidare profughi inermi
ai loro possibili persecutori si deve al potere morale dell’opinione pubblica
diffusa dal web, oltre naturalmente alla loro sensibilità umana.
In altri tempi, la regola burocratica poteva essere applicata passando
inosservata, magari seguendo alla lettera la legge e il protocollo l’espulsione
poteva anche essere comminata, ma il web rende il motto antico «Summum ius
summa iniuria» una legge morale più forte di quella scritta. Seguire un diritto
la cui conseguenza è l’ingiustizia può salvare la coscienza di un burocrate, ma
oggi non è più difendibile davanti a tanti cittadini con in mano uno smartphone
e una connessione internet. L’ambasciatore italiano a Washington Bisogniero ha
chiesto a dirigenti della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e docenti Usa
di dibattere la «cyberdiplomacy» tra Usa e Europa e il risultato è stato
sorprendente: il consenso è che il web ha mutato per sempre i rapporti tra gli
Stati.
Se per i tiranni, delle grandi e piccole potenze, questa è una minaccia che
alla lunga potrebbe anche essere fatale, per i leader delle democrazie è
insieme una costrizione e un’opportunità. A breve li rende soggetti a
valutazioni da fare sotto pressione, come quelle opportunamente prese infine
sulla famiglia Ablyazov. Alla lunga però concede un termometro di temperatura
etica del Paese, dando ai governi, grazie al web, un dialogo fitto e continuo
con la gente. La capacità di autocorrezione degli errori e il dibattito libero
sono la vera forza della democrazia rispetto ai regimi autoritari, costretti
sempre a restare ingessati nella volontà assoluta del Capo, e blindati ai loro
errori.
Non si tratta di un antibiotico politico che cancella ogni male, naturalmente
e presto i leader, anche studiando l’andamento dei Big Data sul web,
riusciranno a manipolare e a guidare la discussione nei loro Paesi. Ma in
profondo, oggi, i sistemi hanno una chance di essere davvero «società aperte»
come sognava il filosofo Popper, che solo una generazione fa sarebbe stata
illusoria.
Bene ha fatto dunque il governo Letta a recedere da una scelta non felice,
bene hanno fatto tutti coloro che hanno lavorato online perché si arrivasse all’
esito positivo. Meglio ancora se, in futuro, l’Italia saprà prevenire incidenti
del genere, dandosi carattere da Paese amico dei dissidenti politici e aperto
agli esiliati, come ricordano i libri di scuola è nella tradizione del nostro
Risorgimento.
Quanto a Machiavelli, tornasse oggi tra noi a festeggiare il mezzo millennio
del suo capolavoro, non esiterebbe ad includere un capitolo sull’online,
indicando con la sua prosa lapidaria al Principe come governare il web da Leone
e ai suoi rivali digitali come opporsi da Volpi internet.
La Stampa 13.07.13