Questa volta il ministro Brunetta non c’entra. A tagliare le gambe ai diritti (anche a quelli già acquisiti) dei precari è una norma della Finanziaria, la cui paternità non è stata riconosciuta da alcuno. La formulazione è complessa, ma la traduzione molto semplice: anche chi ha vinto una causa di lavoro che prevede il reintegro a tempo indeterminato può essere mandato a casa senza tanti problemi e con un esborso neanche tanto alto: da da due mensilità e mezzo a sei.
Oggi la Corte costituzionale comincia a esaminare la norma. Ben sedici autorità giudiziarie, infatti, hanno sollevato il dubbio dell’incostituzionalità. Domenico Armati, uno tra i massimi esperti italiani di Diritto del lavoro, non ha dubbi: «È una scandalosa barbarie. Si procura un danno enorme a lavoratori che hanno avuto il loro diritto riconosciuto da un giudice e si violano almeno due articoli della Costituzione. Prima di tutto l’articolo 3, cioè il principio di uguaglianza davanti alla legge: la norma riguarda solo i giudizi in corso. Poi l’articolo 104, quello che sancisce l’indipendenza della magistratura, perché, intervenendo appunto su processi ancora in svolgimento, la norma prevarica i giudici».
Ma all’esame della Corte costituzionale ci sono anche altri provvedimenti dei governi di centrodestra in materia di contratti a tempo determinato. Si tratta dell’articolo 1 del decreto legislativo 368 del 2001 sulle «esigenze sostitutive» e la norma della 266 del 2005 che autorizza le aziende ad assumere a tempo determinato senza che debbano specificare il motivo per cui è stata scelta questa forma contrattuale. «Queste norme – sottolinea l’avvocato Sergio Galleano – hanno messo da parte i principi della direttiva che nel 1989 aveva stabilito una serie di limiti all’uso del contratto a tempo determinato e, di fatto, hanno aperto le porte al suo abuso».
Quanto alla norma che consente di sostituire il reintegro con il pagamento di alcune mensilità a titolo di indennizzo, uno dei casi simbolo è quello dei «trimestrali» di Poste italiane. «Secondo Poste italiane – spiega l’avvocato Galleano – i casi sarebbero addirittura 150mila. Un numero tanto alto da richiedere che la controversia non venga risolta dai giudici, ma da una legge ad hoc. Noi invece stimiamo che i casi totali, comprendo anche altre aziende come Rai e Telecom e siano 5-6000».
L’estate scorsa, appena il provvedimento fu annunciato, scoppiò la polemica: «L’emendamento sui contratti a termine – spiegò il ministro Sacconi – è di carattere transitorio ed esclusivamente riferito ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Riguarda quindi una platea limitata di destinatari, interessati quasi esclusivamente a controversie con la società Poste Italiane».
Il primo caso in cui è stata sollevata la questione di costituzionalità riguarda una lavoratrice di Andria. Nell’ottobre 2008 la Corte di Appello di Bari le ha dato ragione e ha investito la Consulta. La lavoratrice era in servizio nell’ufficio postale di Andria nel 2005 quando fu assunta per tre mesi alla scadenza dei quali il suo contratto non fu rinnovato. Secondo la Cgil, che ha patrocinato il ricorso della dipendente, l’assunzione aveva invece tutti i caratteri di un rapporto a tempo indeterminato. In primo grado il tribunale ha dato ragione alle Poste. Poi, in appello, la sospensione in attesa del giudizio sulla costituzionalità.
L’ufficio legale di Poste Italiane ha dalla sua una sentenza del Tribunale di Roma che «ha ritenuto di escludere ogni contrasto dell’articolo 4 bis con le norme della Costituzione, rilevando che la citata disposizione contiene una disciplina – che pur in ragione della eccezionalità del momento è comunque limitata nel tempo – è finalizzata ad arginare l’eccessivo ampliamento dell’organico delle imprese incidendo sul loro equilibrio economico-finanziario e sulla loro competitività». La memoria dei difensori di Poste italiane, cita poi un passo delle motivazioni nel quale il giudice estensore definisce la norma «in linea con la filosofia di fondo della manovra adottata dal Governo e giustificata dalla esigenza di tutelare l’interesse generale al buon andamento dell’economia del Paese, conseguire tassi di incremento del PIL e sostenere la competitività dell’intero sistema Italia».
Dopo il caso di Andria altri giudici e altre corti di tutta la penisola hanno ritenuto «non infondata questione di legittimità costituzionale» sull’utilizzo dell’articolo 4 bis. Da Trieste a Genova, da Roma alla Campania, in pochi mesi i casi sono arrivati a essere una decina. La Consulta li ha unificati in un solo giudizio, quello che comincia oggi.
Il primo caso di applicazione della norma, col licenziamento in tronco di nove lavoratori, fu segnalato dall’Unità lo scorso 8 ottobre. Riguardava non Poste Italiane, ma «Strada dei Parchi», la concessionaria delle autostrade A/24 Roma-Teramo ed A25 Torano-Pescara. L’azienda, il cui pacchetto di maggioranza è nelle mani del gruppo Toto, ha usato l’articolo 4bis licenziando quattro lavoratori che erano stati reintegrati a tempo pieno ed indeterminato a seguito di sentenze favorevoli del giudice del lavoro di Roma nell’anno 2007 che riconosceva, anche, la nullità dei contratti a tempo determinato di molti altri precari che nella medesima azienda venivano continuamente assunti e licenziati da oltre 10 anni. Nelle lettere di licenziamento, si arrivava addirittura a richiedere ai lavoratori di restituire le indennità risarcitorie che il giudice aveva riconosciuto loro.
Da quell’articolo sono nate due interrogazioni parlamentari. Una a firma dell’onorevole Giovanni Lolli e una a nome dell’onorevole Cesare Damiano. La risposta del governo è illuminante. Ecco come la destra considera i precari. Il sottosegretario al Lavoro Viespoli scrive scrive: «Come ampiamente emerso nel dibattito estivo che ha accompagnato l’approvazione della legge n. 133/2008, l’intervento del Governo in materia di contratti a termine risultava funzionale all’obiettivo di non abbassare il livello sostanziale di tutele dei lavoratori assunti a termine e consentire, al tempo stesso, di salvaguardare i livelli occupazionali e la tenuta finanziaria di alcune grandi imprese già accordatesi con le parti sociali per gestire in modo condiviso e sostenibile il contenzioso in atto e risalente nel tempo. Come a dire si tratta di un ricatto: abbiamo fatto un favore alle aziende perché, diversamente, rischiavano di fallire e quindi anche i posti di lavoro a termine sarebbero spariti».
Dei quattro licenziati di Autostrade dei Parchi nel frattempo uno ha trovato un accordo extragiudiziale per un part-time e il mantenimento del risarcimento. Gli altri 3 sono in attesa.
L’Unità, 23 giugno 2009