Mentre le spese per istruzione aumentano in tutto il mondo, ricco e povero, per fronteggiare la crescente complessità e variabilità dei lavori, l’Italia, marcia in direzione opposta. Siamo l’unico Paese dell’area Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa pubblica per studente della scuola primaria e secondaria e che ha fortemente ridotto la spesa pubblica per studente dell’università. In anni in cui la strumentazione tecnica ed informatica di supporto agli studi aumenta continuamente, noi riduciamo i fondi pubblici. Nello stesso periodo, 15 anni, i Paesi dell’Ocse hanno aumentato del 62% la spesa per istruzione primaria e secon- daria mentre in media mantenevano invariata la spesa per studente universitario. Questo per quanto riguarda le tendenze medie, che non dicono tutto. Perché il divario nei livelli assoluti di spesa pubblica tra Paesi del Nord e del Sud Europa si allarga sempre più. In Europa, nella politica dell’istruzione, invece di esserci convergenza c’è divergenza.
Serve una Maastricht dell’istruzione per ridurre questi divari. Mentre i norvegesi investono 731 euro per cittadino nell’università , Francia e Germania ne investono 304 e l’Italia solo 104. Per effetto di una drastica riduzione dei fondi per l’università, in Italia aumenta continuamente la quota privata del- le famiglie, per cui l’università sta diventando sempre più un business per famiglie agiate. Se quest’anno non ci sarà un ripristino del finanziamento decurtato di 300 milioni di euro, auspicato anche dal ministro Maria Chiara Carrozza, la posizione dell’Italia nella classifica delle università europee peggiorerà ulteriormente, così come la posizione del Paese nella divisione internazionale del lavoro. Ed i lodevoli Piani predisposti dall’Europa, anche sotto la spinta del nostro governo, per avviare qualche centinaio di migliaia di giovani dalla scuola o dall’inattività al lavoro, rischiano di infrangersi contro il muro della fragilità delle fondamenta culturali. Il muro delle carenze di cultura, basica e superiore, per poter rispondere positivamente agli sforzi di orientamento ed avviamento al lavoro da parte degli ispettorati al lavoro a ciò preposti. Come oggi abbiamo difficoltà quasi insormontabili ad avviare un minatore del Sulcis ad una diversa esperienza lavorativa, date le sue carenze culturali di base, così potremo avere difficoltà simili ad avviare un suo figliolo ad acquisire le conoscenze necessarie a svolgere un qualsiasi lavoro disponibile, se la scuola non gli avrà dato gli strumenti culturali necessari ad orientarsi nel difficile e mutevole mondo dei lavori di oggi.
Investire sul futuro non significa solo investire nelle infrastrutture materiali, strade, energia, innovazione, significa soprattutto investire sui giovani. L’Italia è già il Paese più vecchio del mondo, con meno giovani relativamente ad altri Paesi, se poi rinuncia anche ad investire sui suoi pochi giovani, soprattutto nella loro cultura, si condanna anche ad una fine ingloriosa e certa, in un mondo globale dai rapidi cambiamenti. Si condanna ad una vecchiaia inesorabile e crescente, dove, con i vecchi, resta solo la parte «peggiore» dei giovani, i migliori essendo fuggiti verso lidi più attraenti.
L’Unità 10.07.13