Qualunque cosa si voglia pensare dei verdetti di Standard&Poor’s e delle altre agenzie di “rating”, non c’è dubbio che la bastonata è autentica ed è una brutta notizia. Se non altro perché tende a esporre l’Italia, indebolita, alle solite operazioni speculative sui mercati. Per cui «il paese resta un vigilato speciale».
La frase è del presidente del Consiglio ed è davvero il minimo che si possa dire, condita di parecchia amarezza. Vigilati speciali… Non è molto incoraggiante. Anche se la frase di Letta è pur sempre un modo per tentare di girare a proprio favore un evento negativo: proprio perché l’Italia è ancora sotto sorveglianza, guai a intaccare quel tanto di stabilità che il governo delle larghe intese riesce a garantire. Tuttavia il problema, a proposito di stabilità, è che il declassamento non è l’unica cattiva notizia di ieri. Ce n’è una assai peggiore e riguarda, come tutti ormai sanno, Berlusconi e il processo Mediaset.
Sul piano virtuale, la scelta della Corte di Cassazione di accelerare i tempi e di decidere il 30 luglio sul ricorso dei difensori dell’ex premier, equivale all’accensione di una miccia a combustione neanche troppo lenta. Berlusconi per il momento tiene i nervi saldi, sia a pure con crescente fatica. Ma si sente giocato, teme di essere finito in una trappola inesorabile.
È chiaro che l’anticipo giudiziario («qualcosa che in quarant’anni non avevo mai visto» ha detto Franco Coppi, il noto penalista che rappresenta il leader del centrodestra) non potrà non avere, alla lunga, un impatto straordinario sulla maggioranza. D’altra parte, la logica suggerisce che dal Pdl, o meglio da Palazzo Grazioli, non ci saranno colpi di testa prima dell'”ora X” o in prossimità di essa. A questo punto, la rissa o addirittura la crisi di governo sarebbe un errore fatale.
La ragione è una sola. Non è affatto certo che tempi più brevi vogliano dire sicura conferma delle condanne. Significano, questo è vero, un disagio per la difesa costretta a lavorare in spazi più angusti. Ma le questioni di diritto sono le stesse in luglio come in ottobre. Per cui la tendenza al panico che si registra in certi ambienti del Pdl è forse esagerata e di sicuro controproducente. Gridare oggi al complotto e accusare come di consueto la “giustizia politica” è una dimostrazione di debolezza, non certo di forza. Ci sarà tempo, nel caso, per dare la stura al repertorio del vittimismo. Adesso è il momento di misurare bene i passi.
Ovvio che non si potranno tenere distinti, come se niente fosse, il piano politico e quello giudiziario. Questo è un auspicio che Enrico Letta ha l’obbligo di far suo, ostentando fiducia. Ma chissà quanto egli stesso crede alle sue parole. È altrettanto vero, peraltro, che Berlusconi ha tutto l’interesse a concentrarsi oggi sulla Cassazione. Scaricare le tensioni sul governo sarebbe un gesto impulsivo per nulla in grado di avvicinare di un metro la soluzione del tema processuale.
Quello che sappiamo è che da ieri il cammino delle larghe intese è ancora più difficile. Prima la relativa forza di Letta era la mancanza di un’alternativa. Ora l’alternativa continua a latitare, ma la precarietà di Berlusconi determina una potenziale e drammatica novità. Certo, anche in caso di condanna definitiva il leader del centrodestra, sia pure interdetto, dovrà pensare a tutelare la rete di interessi di cui egli è ancora il punto d’equilibrio. Non è detto che il modo migliore per farlo sia buttare tutto all’aria. Il punto però è che nell’ipotesi peggiore la galassia del Pdl non riuscirà a reggere la pressione. Saranno allora le circostanze a decidere il futuro della destra e dunque anche della grande coalizione.
Il Sole 24 Ore 10.07.13