I provvedimenti di ieri sui giovani e sul lavoro sono un esempio, modesto, di che cosa un governo può fare di buono nella situazione attuale. Il rinvio dell’aumento Iva, all’opposto, è un esempio assai significativo di come non si deve fare. Tanto più perché lo stesso errore che rischia di ripetersi nei prossimi mesi.
Se i soldi nelle casse dello Stato non ci sono, coprire un calo di tasse da una parte con un aumento di tasse dall’altra non è necessariamente dannoso.
Si possono sostituire tributi che frenano di più la crescita economica con altri che la frenano di meno. Ma non è questo il caso.
Ricordiamo come ci siamo arrivati. Si parte dalla richiesta che il governo attui la principale promessa elettorale del Pdl, abolire l’Imu sulla prima casa. Il governo rinvia i versamenti e prende tre mesi per decidere. Frattanto arriva a scadenza il già deciso aumento dell’aliquota principale Iva: il Pd ribatte sostenendo che sarebbe meglio evitare questo.
Circa quattro miliardi in ragione annua da una parte, quattro miliardi dall’altra. Il Pdl rilancia, chiedendo di fare tutte e due le cose insieme: raddoppia la posta nel piatto, otto miliardi. Poco conta che le istituzioni internazionali e l’Europa ci ripetano che le tasse sul patrimonio, come l’Imu, sono le meno dannose alla crescita, seguite da quelle sui consumi, come l’Iva.
Sulle coperture il governo ha promesso una parola definitiva oggi. Resta alto il rischio che il rinvio dell’Iva sia compensato da aggravi di altre imposte sui consumi, se non addirittura da un anticipo dell’acconto Irpef (imposta sul reddito, più dannosa per la crescita). Dopodiché in Parlamento si riaprirà una gara fra i partiti per trovare coperture sostitutive, escogitando misure di «finanza creativa» (già ne circolano) o tagli di spesa irreali.
Già, i tagli di spesa. In teoria sono la maniera migliore di evitare un aumento di tassazione. In realtà una politica debole sa bene che per attuare tagli veri occorre colpire interessi concentrati, più capaci di vendicarsi rispetto alla massa diffusa dei contribuenti. Negli anni pre-crisi, tra l’altro, le spese erano cresciute più sotto i governi di centro-destra che sotto quelli di centro-sinistra, al contrario di quanto ci si poteva aspettare.
Per ridurre le spese in misura significativa occorre rivedere a fondo il funzionamento della macchina dello Stato: lavoro non breve per il quale all’attuale maggioranza manca la voglia oltre che la prospettiva di tempo. Si gradirebbero proposte dall’opposizione, dove però manca la competenza per elaborarle.
Proprio a causa delle risorse sprecate per tener dietro alla demagogia tributaria, sono limitate le risorse per l’impiego dei giovani. Se non altro il provvedimento è mirato con attenzione, sulla base dei dati, verso la tipologia più sfavorita nel momento attuale.
La scommessa di Enrico Letta sembra di prendere tempo nel modo più decente possibile, in attesa che la situazione migliori. Ma, a parte un barlume di ripresa economica, che cosa può portarci l’autunno?
La Stampa 27.06.13