La sentenza di Milano ha provocato un terremoto nel governo. Non poteva essere altrimenti. La condanna di Silvio Berlusconi è pesantissima e le iperboliche accuse di golpe o di complotto – rilanciate dai vertici del Pdl – aggravano la posizione del Cavaliere. Le garanzie dell’ordinamento non sono in discussione.
Ed è ridicolo prendersela con il «falso» puritanesimo della sinistra: piuttosto chi è vicino al Cavaliere gli consigli di cambiare avvocati, perché questa sentenza è anche figlia dell’arroganza, della presunzione, dell’atteggiamento di sfida al buon senso che è stata tenuta per mesi in Parlamento, nelle aule di giustizia, nel Paese. Ma si è accorto Berlusconi che il bunga bunga è diventato il simbolo del discredito, non solo suo, ma di un Paese che tollerava un simile premier? Berlusconi decida che strategia seguire nei processi che lo riguardano. La scelta degli avvocati appartiene a lui. Decida pure se tenersi il partito come proprietà personale oppure se
favorire la nascita di un centrodestra democratico, aperto, scalabile. Ma una cosa non appartiene a Berlusconi: il governo e il destino della legislatura. Ora è chiaro che il corso della giustizia – comprese le questioni che riguardano il Cavaliere – è seperato dalle questione di governo. Non ci sono scambi, né salvacondotti, né sconti di pena. La legge è uguale per tutti. Berlusconi è deluso? Sono delusi anche coloro che hanno contestato Letta gridando che il Cavaliere ne avrebbe tratto benefici giudiziari? Pazienza. Per noi la seperazione è sempre stata la condizione minima, indispensabile di questo governo di necessità. L’Italia ha bisogno che l’azione dell’esecutivo si concentri sul lavoro e sulle riforme. L’Italia della crisi non può attendere. Berlusconi dica se vuole collaborare oppure no. E, se la risposta fosse no, non è detto che si torni alle elezioni.
L’Unità 26.06.13