“Sembra una battuta. Nasce da un interrogativo. Pensate che cosa farebbero gli americano se possedessero al centro di New York, il Colosseo. Organizzerebbero ogni giorno e ogni sera uno spettacolo. Teatro, cinema, concerti. E attorno a quell’enorme spazio un museo, una biblioteca. Altro che i poveracci travestiti da centurioni. Una fabbrica di cultura ma anche una preziosa fonte di reddito. Trattasi di un pensiero improvvisato scaturito dall’ascolto di interessanti interventi (Paolo Guerrieri, Ronny Mazzocchi, Danilo Barbi, Silvano Andriani, Nicola Cacace), coordinati da Laura Pennacchi. È un confronto che prende lo spunto da un ponderoso volume curato dalla stessa Pennacchi. Trattasi del Libro bianco per il piano del lavoro 2013 (Ediesse), composto da numerosi saggi affidati a economisti di scuole diverse. Un’opera che ha accompagnato e accompagna l’ambiziosa iniziativa del sindacato. Anche se per ora questo «piano» non ha trovato l’eco meritata. Un po’ ripercorrendo le sorti di quel primo progetto voluto da Di Vittorio nell’altro secolo e accolto, spiega Pennacchi, «con freddezza da Togliatti e con opposizione da De Gasperi». Eppure rappresenta la smentita, come osserva Susanna Camusso, a quanti dipingono oggi la Cgil «come un’organizzazione che vuole stare sull’Aventino, non disponibile a governare le trasformazioni». Eppure qualcosa comincia a muoversi, come dimostra un altro confronto svoltosi a cura del «Diario del Lavoro» di Massimo Mascini. Qui hanno interloquito con le idee della Cgil sindacalisti, imprenditori, rappresentanti del governo. Tra gli altri: Gaetano Sateriale, Riccardo Sanna, Pierangelo Albini, Pierpaolo Baretta, Davide Calabrò, Carlo de Masi, Massimo Forbicini, Alessandro Geno vesi, Michel Martone, Guido Mulè, Paolo Pirani, Gianni Salvadori, Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil. Una mobilitazione intellettuale che può accompagnare la strategia rivendicaiva unitaria, testimoniata nella potente manifestazione di sabato a Roma. Preciso subito che la battuta iniziale sul Colosseo è suggerita solo da alcuni spunti del «piano». Ovverosia dal tentativo di delineare un assetto del cosiddetto «post fordismo», attraverso la ricerca di settori innovativi: turismo, tecnologie, beni culturali, beni sociali, energia, politiche ambientali e green economy, città, territorio e infrastrutture, agricoltura, scuola, istruzione, formazione. Senza dimenticare, certo, quel che ancora é possibile nell’industria manifatturiera. Un campo vasto con la ripresa di un ruolo determinante dello Stato attraverso le sue molteplici articolazioni. Non lo Stato moloch, lo Stato padrone, ma uno Stato regista. Come avviene in Usa, in Germania. Non un Gosplan, spiega Pennacchi, «che il governo scrive una volte per tutte e per tutti e nessuno applica». Un progetto affidato a un confronto nazionale con il governo e alla contrattazione territoriale con Regioni e Comuni. E aperto a forze sociali, imprese, istituzioni, università. Una pluralità di interlocutori, un tessuto di partecipazione attiva. La domanda d’obbligo è sempre quella relativa alle risorse necessarie. E la Pennacchi risponde citando le complesse argomentazioni contenute nel Libro bianco ma anche proponendo un primo esempio: una tassa di scopo, un contributo di solidarietà. Con la convinzione che i cittadini, quei padri e quelle madri che conoscono bene il bisogno di lavoro dei figli, risponderebbero volentieri a un appello ben finalizzato. Con la consapevolezza che quel che urge non è tanto uno shock fiscale quanto uno shock occupazionale. Certo per invadere terreni nuovi e inesplorati occorre rivalutare, come spiega Guerrieri, la figura di chi rischia e «intraprende». E occorre affrontare con serietà la tematica della produttività onde competere sul piano internazionale. Anche nei settori manifatturieri tradizionali. Verrebbe voglia di riprendere a questo proposito alcuni saggi presenti nel Libro bianco sulle questioni relative alla partecipazione dei lavoratori ai processi produttivi (Mimmo Carrieri e Giacinto Militello, Salvo Leonardi, Leonello Tronti). Una partita decisiva per lo sviluppo non tradizionale nonché via maestra anche per innalzare la produttività del sistema. Perché una produzione di qualità ha bisogno di un lavoro di qualità, forte e consapevole, non umiliato e spogliato di diritti.
L’Unità 24.06.13