Silvio Berlusconi è sempre in campagna elettorale. O almeno ne prepara sempre una. Anche quando non si vota. È quello che gli riesce meglio. Questo governo, del resto, certo non potrà durare cinque anni. Come ha detto il presidente della Repubblica, nasce su una alleanza fisiologicamente «a termine ». E il capo del centrodestra si premunisce. Pur appoggiando questo esecutivo, ha bisogno di prenderne le distanze.
Trattarlo di fatto da “governo amico”. Attacca l’Unione europea, i trattati economici che sono alla base dell’Ue per prendere di mira Palazzo Chigi. Il Cavaliere non muove le sue pedine sulla base di un interesse nazionale. Il suo orizzonte si limita quasi sempre ai confini più o meno angusti del suo tornaconto. In questo caso politico.
Dopo la pesante sconfitta subita alle ultime elezioni amministrative, l’ex presidente del Consiglio punta a riconquistare centralità all’interno della “strana maggioranza” e anche nel suo stesso partito spaccato in una molteplicità di correnti. Fino a due settimane fa appariva come il vero e proprio king maker della
coalizione, una sorta di azionista di maggioranza virtuale pur sprovvisto di tutte le fiches necessarie. Un “socio” capace di indirizzare l’azione del governo e inserire nell’agenda di Palazzo Chigi tutti i punti propagandati dal Pdl in campagna elettorale: dalla cancellazione dell’Imu alla sospensione dell’aumento dell’Iva, appunto. Ma le urne della scorsa settimana ci hanno consegnato un’Italia un bel po’ diversa da quella disegnata da Berlusconi. Le sue prerogative sono state messe in discussione proprio dagli italiani e non dagli alleati. La sua centralità è stata posta fuori asse dalle urne. Una circostanza che il Cavaliere non può accettare e allora rispolvera i toni da comizio per recuperare la guida del “patto di sindacato”. È come se a Enrico Letta dicesse: anche se abbiamo perso, io sono ancora determinante e tu devi ascoltarmi. Anzi: non posso pagare io le scelte di questa compagine facendo perdere consenso al Popolo delle libertà. E contestualmente – nella sua infinita campagna elettorale è come se si rivolgesse anche ai suoi elettori per rammentare: solo io posso fare certe cose, solo io posso battermi contro Bruxelles in vostra difesa.
Peccato che quando a Palazzo Chigi c’era lui, le promesse dichiarate non siano state mantenute. Adesso cerca di far dimenticare che la firma sul Fiscal compact, sottoscritto formalmente da Mario Monti, l’ha di fatto messa lui. Stressare i tempi per il raggiungimento del pareggio di bilancio è stata una sua scelta. La lettera con cui la Bce commissariava di fatto l’Italia dopo un triennio disastroso l’ha ricevuta lui. Ora fa finta di niente e chiede a questo governo di ribellarsi a Bruxelles, disattendere gli impegni che lui ha
assunto, sforare la soglia del 3% nel rapporto deficit- Pil e sostanzialmente ignorare la montagna di debito pubblico che pesa sulle spalle di tutti noi. Minimizzando quei quasi trecento miliardi di titoli di Stato che scadono ogni anno.
Scorda anche però che quando a Palazzo Chigi era seduto lui, le sue manovre economiche non erano certo costruite secondo le direttrici che ora indica. L’ultima di quelle operazioni, ad esempio, era composta per due terzi – ben due terzi – da imposte e non da tagli come invoca adesso. Solo a parole ha accettato il braccio di ferro con la Cancelliera tedesca Angela Merkel, perché ad ogni consiglio europeo si è sempre defilato. Interpretando forse a suo modo la frase che qualche tempo fa aveva pronunciato il ministro degli Esteri polacco Sikorski: «Oggi temo la potenza tedesca meno dell’inazione tedesca».
Sostenere, poi, che per i partner europei è impossibile cacciarci dall’Unione e dall’euro, significa non tenere presente quanto sia bassa la credibilità dell’Italia dopo il suo “ventennio” e quanto sia ancora rilevante la quota di debito pubblico detenuto all’estero. E solo se la nuova leadership italiana è affidabile continueranno a comprarlo. Significa anche occultare ai cittadini che uscire dalla moneta equivale ad assestargli un colpo pesantissimo.
Ma, appunto, la logica che segue il capo del centrodestra è un’altra. Vuole riposizionarsi. Cerca di riagguantare la sua centralità politica. Anche perché proprio domani si apre per Berlusconi la più delicata delle stagioni processuali. Prima la decisione della Corte costituzionale sul legittimo impedimento nel caso Mediaset, poi la sentenza per la vicenda Ruby e entro 8-9 mesi la Corte di Cassazione emetterà il suo giudizio sempre su Mediaset e quindi sulla possibilità di interdire il Cavaliere dai pubblici uffici. Tutte circostanze che impongono al Cavaliere di tenersi a portata di mano tutte le carte. Per giocarle al momento opportuno. Chiedere di bloccare l’aumento dell’Iva e cancellare l’Imu, a prescindere dallo stato di salute dei nostri conti pubblici e dai possibili danni collaterali, nasce dunque solo ed esclusivamente da queste esigenze. A cui magari si aggiunge anche un monito ai suoi ministri. Un modo per ricordare che la linea non cambia, anche per loro, e che se vorranno essere ammessi nel nuovo partito, nella Forza Italia 2.0, allora sarà bene che ascoltino le sue parole senza altre tentazioni.
La Repubblica 18.06.13