Il Pd risale, il Pdl resta primo ma perde consensi, il M5S è molto al di sotto del 20%. Sono i risultati dell’Osservatorio Tecné di Carlo Buttaroni sulle intenzioni di voto degli italiani raccolte il 13 giugno. Cresce però anche l’area del non voto, alimentata dai delusi di Grillo.Il 2013 è iniziato come l’annus horribilis per il Pd: la «non-vittoria» alle elezioni politiche di febbraio e il semi-suicidio alle votazioni per il presidente della Repubblica hanno rischiato di far implodere il partito. Con la fo mazione del governo Letta, ma soprattutto con i risultati delle amministrative di fine maggio, i democratici sembrano aver ritrovato un percorso positivo. Guglielmo Epifani ha preso il timone del Pd e governa la nave democratica verso il congresso, senza fughe in avanti ma anche senza strappi. Anche tutti i sondaggi hanno ripreso a rilevare un Pd in crescita, nonostante il Pdl rimanga in testa nelle intenzioni di voto.
Nelle ultime settimane il partito di Berlusconi segna un calo, ma la curva dei consensi continua a svilupparsi molto sopra i risultati delle politiche. Dopo la sconfitta generalizzata alle comunali, in primis quella di Gianni Alemanno, il Pdl è in affanno e sono tornate a circolare voci che danno Berlusconi in procinto di rifondare il partito. Pd e Pdl sembrano essersi passati il testimone della crisi interna, anche se il momento più critico è ora quello che vive il Movimento 5 Stelle. Una débâcle alle amministrative e calo netto nelle intenzioni di voto. L’analisi dei flussi elettorali di Roma è eloquente: al primo turno per l’elezione del sindaco, più della metà degli elettori che alle politiche avevano vota- to Grillo, non si è recato alle urne. Nel ballottaggio l’astensione ha colpito il M5S per quasi il 70%.
Per il Censis, alla base dell’ondata di astensioni- smo elettorale c’è una società orizzontale, atomizzata, molecolare, incapace di aggregarsi se non per gruppuscoli che condividono gli stessi stili di vita. La disaffezione alla politica è molto profonda e deriva non solo dalla sfiducia contro la «casta», ma da una politica «ridimensionata», che non genera più quel senso di appartenenza che per decenni l’ha contraddistinta. D’altronde, la fiducia nel mercato vacilla, le specializzazioni un tempo vincenti contano sempre meno, mentre cresce un’onda di pulsioni sregolate, senza che si riesca più a individuare un dispositivo di fondo che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori. È in crisi l’aspirazione stessa al futuro. E dalla crisi economica nasce una crisi della democrazia alla quale ancora non abbiamo nemmeno iniziato a rispondere.
Si riscopre così l’urgenza di cercare nuovamente i fondamenti del vivere insieme e del condividere la stessa Costituzione. I livelli attuali di partecipazione dei cittadini alla vita politica sono molto al di sotto degli standard da molti auspicati. Non solo i giovani, ma i cittadini in generale non partecipano come dovrebbero. La qualità della democrazia potrebbe migliorare con un più esteso e intenso coinvolgimento dei cittadini, che tenga però conto delle diversità espressive della società attuale, che destruttura le vecchie architetture sociali, esprimendo a gran voce la voglia di partecipare per ricostruire la «cosa pubblica». Per molti prendere parte alla vita di un’associazione (sociale, culturale, religiosa o sindacale) equivale a vivere un’esperienza politi- camente rilevante, mentre per altri il sentimento di estraneità e distanza dalla politica è vissuto anche nell’atto più «classico» di partecipazione politica, cioè il voto.
La partecipazione, che sia attraverso attività in- dividuali o di gruppo, si associa alla consapevolez- za di un’appartenenza collettiva, al perseguimento di un obiettivo. Una maggiore partecipazione rende i cittadini più informati e competenti, dà voce ai valori e agli interessi di fasce meno rappresentate, lascia meno spazio ai gruppi di pressione portatori di interessi particolari. E anche la sanzione sociale, come quella nei confronti delle degenerazioni che hanno segnato le recenti stagioni politiche, ne uscirebbe rafforzata.
Il grado di centralità o marginalità sociale è
un elemento determinante, in grado di facilitare o inibire il coinvolgimento dei cittadini nella sfera politica.
Chi è istruito, ha un reddito medio-alto ed è inserito in una rete di rapporti, ha più facilità ad avvici- narsi alla sfera politica mentre, a scoraggiare i cittdini, è spesso una politica che vive lontano dalla quotidianità. L’apatia politica nasce, cioè, anche co- me effetto in chi, pur disposto a partecipare, ritiene che farlo non modificherebbe sostanzialmente le decisioni che riguardano la società nel suo complesso, né darebbe risposte ai suoi bisogni concreti. In sostanza, quindi, partecipa attivamente alla vita politica chi ha (o ritiene di avere) possibilità di incidere su scelte e indirizzi concreti.
Per questo motivo, da tutte le analisi emerge con chiarezza una configurazione piramidale della partecipazione politica che corrisponde alla configurazione sociale dove, partendo dal basso, sono coinvolte quote di popolazione progressivamente sempre minori. Al vertice di questa piramide c’è un nucleo piuttosto ridotto di cittadini che, alla luce di diversi indicatori di partecipazione, sono fortemente impegnati nella sfera politica. Subito al di sotto, si trova una più ampia fascia composta dall’«opinione pubblica attenta», meno coinvolta del vertice, ma che segue con attenzione i dibattiti sulle questioni politiche. Un terzo e quarto livello, ancora più ampio, è composto da quei cittadini socialmente marginali, generalmente poco informati, scarsamente interessati e solo occasionalmente coinvolti nelle vicende della vita politica. La sfida della società contemporanea è a questi due ultimi livelli e riguarda anche (e soprattutto) il futuro della democrazia. Una sfida che può vincere soltanto una politica capace di ricostituirsi in «agenzia di senso», mobilitante anche per quella parte periferica della società, dalla voce inascoltata, Anche se inespresso, sottaciuto o sussurrato, si sente il bisogno di una politica che sappia farsi interprete dei bisogni dei cittadini più fragili, lontani da quel centro sociale cui la politica, negli ultimi anni, è sembrata interessarsi in maniera esclusiva. Bisognerebbe fare tesoro di quei momenti passati in cui le reti politiche territoriali costituivano agenti di mobilitazione, capaci di fornire occasioni per partecipare anche a quelle fasce di popolazione meno direttamente coinvolte. Solo un rinnovato interesse e una reale attenzione alle fasce di popolazione marginalizzate può far allargare nuovamente il perimetro politico. Su questo si gioca il
futuro della nostra democrazia.
L’Unità 17.06.13