Ancora troppi i misteri irrisolti. Il ruolo dei servizi dietro le Br. Dal rapimento e dalla morte di Aldo Moro sono trascorsi ormai trentacinque anni. In questo arco di tempo si sono svolte ben sei inchieste giudiziarie e hanno lavorato per oltre un decennio due Commissioni di inchiesta parlamentare, dotate di poteri inquirenti, che hanno raccolto una gran mole di testimonianze e di documenti.
In realtà, pochi eventi come la vicenda Moro hanno potuto godere di una simile mobilitazione giudiziaria e politica, ciò nonostante il convincimento che si tratti di un mistero ancora insoluto e destinato a rimanere
tale è certamente prevalente presso l’opinione pubblica.
Per quale ragione? Anzitutto per una forma di pigrizia intellettuale e civile. Sulla vicenda Moro sono uscite centinaia di pubblicazioni, alcune di ottimo livello, ma è come se fossero scritte sulla sabbia perché l’onda lunga degli interessi ideologici partigiani o delle memorie individuali e di generazione da preservare cancella di continuo i risultati raggiunti. E allora bisogna ogni volta cominciare da capo, senza che sia possibile avanzare sulla strada di una dimensione civica
della verità storica. In secondo luogo, la dietrologia alimenta un fiorente mercato editoriale e cinematografico che non accenna a scemare garantendo evidenti interessi commerciali. Infine, l’idea di mistero è in se stessa deresponsabilizzante perché consente a tutti gli attori di rimanere immobili nei propri convincimenti come tante statue di sale: il mistero obbliga a un atteggiamento fideistico che richiede obbedienza davanti all’inspiegabile, ossia l’opposto di un’attitudine critica che implica sempre l’assunzione di una responsabilità.
Siamo persuasi che l’unica strada oggi percorribile sia quella accidentata e faticosa della ricerca storica e sarebbe bene che gli studiosi fossero messi nelle migliori condizioni per praticarla potendo godere della piena disponibilità di accesso ai fondi conservati presso gli archivi dei tribunali e delle commissioni parlamentari. Certo, la nuova azione della magistratura potrà essere utile perché raccoglierà nuovi documenti e testimonianze, ma ci permettiamo di dubitare che sarà in grado di somministrare una giustizia qualitativamente migliore rispetto a quella esercitata
sin qui. Una verità giudiziaria che prova ad accertare se stessa trentacinque anni dopo i fatti rischia di essere così fragile da risultare evanescente, il frutto tardivo e quindi avariato di un Paese ammalato.
In realtà, sia l’ipertrofia inquirente, sia quella memoria-listica restituiscono tutto intero il trauma determinato dal rapimento e dalla morte di Moro: non costituiscono dunque una soluzione, ma il sintomo di un problema da affidare alla cura paziente degli storici e alla libera discussione critica dei loro risultati.
La Repubblica 17.06.13