Si aspettavano qualche migliaio di risposte, ne sono arrivate quasi 100mila. La consultazione studentesca elaborata dalla Rete degli Studenti e somministrata nelle scuole di tutta Italia ha visto una partecipazione massiccia. Quella che ne è uscita è una piattaforma politica ma anche il ritratto di una generazione. I risultati sono stati presentati ieri mattina alla Sala Mercede della camera dei Deputati, davanti alla FlC-Cgil, a associazioni della scuola e organizzazioni studentesche e ad alcuni parlamentari.
«Volevamo rovesciare il rapporto tra chi scrive le riforme e gli studenti, alle leggi calate dall’alto contrapponiamo un forma di democrazia partecipata, un modello che però in questi anni non è mai stato preso in considerazione», dice Roberto Campanelli, coordinatore nazionale dell’Unione degli studenti. Il referendum è partito il 15 aprile per finire il 4 maggio.
«Interrogare sulle ansie di una generazione, che vive pure la crisi, ha un valore non solo politico ma anche culturale». Difatti il principale problema evidenziato dagli studenti con il 73.4% delle indicazioni è la paura della precarietà e l’incertezza nel futuro lavorativo. Tutte le altre “paure” (come la qualità dello studio o la sicurezza degli edifici scolastici) scompaiono davanti alla precarietà senza superare il 9%. E’ anche una generazione che ha chiari limiti e pregi dell’autonomia scolastica ma che decisamente non vuole l’ingresso dei privati negli istituti (il 62 per cento). Il 26 per cento comprende che c’è bisogno dei fondi dei privati per le economie delle università ormai disastrate ma chiede che la didattica e la ricerca rimangano pubbliche.
Più del 52 per cento chiede il “reddito di formazione” sulla base del modello scandinavo. Il 77 per cento vorrebbe stage legati agli studi realizzati mentre sul numero chiuso il 30% pensa che debba rimanere in facoltà come Medicina, Architettura, Odontoiatria, il 12 lo estenderebbe ovunque mentre la maggioranza, il 57% immagina università aperte. Domanda anche sulle valutazioni, Invalsi e Ava: per il 48 per cento dovrebbero essere più democratiche, il 27% le trova “da contrastare”. Riguardo al diritto allo studio, settore particolarmente ridimensionato negli anni a causa degli tagli, più del 45 per cento degli intervistati risponde che con le borse di studio debbano essere sostenuti gli studenti privi di mezzi.
Che debbano essere attribuite su scala nazionale (e non regionale, come è adesso) mentre il 25% ritiene che vada anche dimostrato il merito. Il prestito d’onore (cavallo di battaglia degli ex ministri Gelmini e Profumo) è apprezzato solo dal 3,65 per cento. A tal proposito ieri la Rete della Conoscenza ha anche presentato le sue 10 proposte per il diritto allo studio, dalla gestione di alloggi e mense ai criteri di assegnazione delle borse.
«Abbiamo provato a ragione a lungo termine, l’esigenza è adesso quella di costruire forme di partecipazione efficaci che coinvolgano anche associazioni della scuola e coordinamenti studenteschi per incidere in maniera immediata e per lanciare un grande dibattito pubblico sull’istruzione»
L’Unità 12.06.13