All’Italia servono circa 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi. L’allarme questa volta arriva dall’Ilo, l’organismo dell’Onu specializzato in tematiche del lavoro, che nel Rapporto 2013 ha sommato gli impieghi persi negli ultimi anni e l’aumento della popolazione in età attiva rispetto al periodo pre-crisi. La situazione italiana è anche più difficile di come annunciato dalla Cgil, secondo cui i posti di lavoro mancanti sono 1,5 milioni e per recuperarli saranno necessari 63 anni, cioè bisogna arrivare al 2076. A partire dal secondo trimestre del 2008, si legge nel rapporto, l’economia italiana ha perso circa 60 Omila posti di lavoro e, nello stesso periodo, la popolazione in età lavorativa è aumentata di circa 1,1 milioni. L’Italia figura tra i Paesi dove la disoccupazione continua ad aumentare (dal 6,1% nel 2007 fino all’11,2% del quarto trimestre 2012), segnando «uno degli aumenti più brutali>, dell’Unione europea tra il 2007 e il 2012, e dove sono più cresciute le disparità di reddito. Anche il rapporto dell’Ilo sottolinea la particolare difficoltà dei giovani: il tasso di disoccupazione per la fascia d’età 15-24 anni è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012. In base ai dati dell’Istat, il tasso di disoccupazione tra i giovani è balzato al 41,9%. Diffusissima, peraltro, l’occupazione precaria (contratti involontari a tempo determinato o part-time): dal 2007, i precari sono aumentati di 5,7 punti percentuali, raggiungendo il 32% degli occupati nel 2012. Con un’impennata nell’ultimo anno, dovuta – dice l’Ilo – sostanzialmente alla riforma Fornero. I problemi sono soprattutto il calo della domanda interna, per via della stagnazione salariale e dunque di una maggiore povertà delle famiglie, e il debole aumento delle esportazioni, su cui si è concentrato il modello nazionale di ripresa: «L’Italia – si legge nel rapporto – ha messo in atto una serie di misure incentrate sull’offerta, con l’obiettivo di migliorare la competitività attraverso il taglio dei costi unitari di manodopera. Ma queste misure rischiano di rimanere inefficaci. Un grande numero di partner commerciali ha avviato contemporaneamente misure di austerità, compresi paesi con eccedenze di bilancio. Di conseguenza, la domanda esterna potrebbe non bastare a sostenere un modello di ripresa basato sulle esportazioni». L’organizzazione poi si dice contraria alla staffetta generazionale. «Infatti, il contatto con lavoratori più sperimentati attraverso il tutoraggio – osserva l’Ilo – può fornire consigli, istruire alle buone pratiche, aiutare a dissipare i malintesi riguardo ai giovani. È importante notare che i giovani non devono prendere il posto degli adulti”, e «il governo dovrebbe considerare altri mezzi per sostenere l’occupazione giovanile: il sistema di garanzia per mantenere i giovani dentro al mercato; incentivi all’assunzione di giovani più svantaggiati (disoccupati di lunga durata o poco qualificati), borse di formazione e sforzi per migliorare la corrispondenza delle competenze». In questo quadro cresce il rischio di tensioni sociali. Nell’Europa a 27 l’indice è salito dal 34% del 20 06-20 07 al 46% del 2011-2012. I Paesi più a rischio sono Cipro, Repubblica ceca, Grecia, Italia, Portogallo, Slovenia e Spagna, mentre il rischio è calato in Belgio, Germania, Finlandia, Slovacchia e Svezia. A livello mondiale, la disoccupazione ha raggiunto il 5,9% nel 2012, quando i senza lavoro erano 195,5 milioni, con un aumento di 0,5 punti rispetto al 2007 quando i disoccupati erano 169,7 mmilioni e si avvia a salire al 6% quest’anno, con un aumento dei disoccupati a 201,5 milioni. Entro fine 2014 la proiezione è di 205 milioni, 214 milioni entro il 2018. Per riportare l’occupazione ai livelli pre-crisi sono necessari oltre 30 milioni di posti di lavoro.
L’Unità 04.06.13