I primi sono gli africani. «Borsa bella, guardare solo, tieni». Poi i napoletani. «Volete fare un giro completo di tutta l’area? Una macchina con l’autista senza spendere troppo?». Poi è il turno dei casertani: «La guida mia ha più foto a colori e costa di meno, prendete ». Tutti ambulanti. Tutti abusivi. Intanto c’è chi orina o chi dorme sull’erba selvatica, chi insegue un altro turista o chiede l’elemosina. E non un cestino per le carte, non una panchina o una pensilina o un bagno chimico lungo il cosiddetto “vialone”, il vasto camminamento che ti conduce dalla stazione ferroviaria verso la visione potente della settecentesca Reggia. In fondo t’aspetta il Monumento che sembra un’astronave piantata lì da tre secoli solo per sottrarti al degrado di oggi,
cartolina di perfezione architettonica e giardini dal sontuoso disegno lontani anni luce dal grigio informe in cui gli tocca galleggiare. Con le competenze parcellizzate tra mille uffici, tra dentro e fuori quei cancelli: Soprintendenza, Demanio, Agenzia del Territorio, Comune. Con pezzi dello Stato in causa contro altri Pezzi. Un caso di scuola dell’arte italiana che va in malora.
Ecco, nel grande suk che avvolge l’esterno dei loro nobilissimi appartamenti e che fa rivoltare nelle tombe i Borbone, mancava in effetti solo la droga. Fuori. È lo stesso spazio attraversato solo quarantotto ore fa dal ministro della Cultura Massimo Bray, in bici, silenzioso, nella solita tenuta da privato cittadino in incognito. Eppure, qualcuno si è messo a vendere cocaina, hashish ed eroina, proprio lì dinanzi alla Reggia, proprio ai cancelli della Flora, varco est della sontuosa residenza. Commercio lasciato dilagare placidamente fino ai 23 arresti dei carabinieri. Fino al blitz su cani sciolti della delinquenza senza grandi boss alle spalle, scenario che il procuratore Luigi Gay e il comandante Giancarlo Scafuri hanno dovuto ricostruire in un contesto in cui né negozianti, né vigili urbani, né controlli amministrativi di alcuna natura sembravano accorgersi di nulla.
«Ma lo sapete che per l’abbandono che esiste qui fuori, da tempo, è già tanto che i turisti ancora arrivano a migliaia?», scuote la testa Antonio Petrillo detto Tonino, che a 60 anni continua a essere cameriere stagionale, sei mesi soltanto. E per arrotondare lascia il ristorante turistico dei padroni e arriva fin sotto alla soglia del Palazzo per fare da “richiamo” al locale. «Sapesse quante lamentele: lo vede questo spiazzo? Ci sono bambini e anziani che aspettano alle intemperie. Non c’è un’insegna che ti dica dove entrare e dove uscire. E intanto ogni mese crolla un pezzo di cornicione della grande Mamma Reggia. Poi si sono messi quelli della droga, l’ho sentito al telegiornale…».
Doveva capitare, prima o poi, sotto il grandioso Palazzo che si sbriciola pezzo dopo pezzo, un frammento di cornicione dopo l’altro, tesoro da quasi 600mila visitatori l’anno che però diminuiscono col passare degli anni, il perdurare della crisi e soprattutto con la sciatteria delle istituzioni locali. Primo museo del Mezzogiorno (dopo gli Scavi di Pompei), una risorsa inutilmente definita Patrimonio dell’umanità Unesco, visto che il sistema culturale del Paese l’ha dimenticata gradualmente. Fino a lasciare più che decimati i fondi per l’antica gloria vanvitelliana. Quasi senza neanche i soldi per pagare le bollette dell’illuminazione. Da queste parti, dove lo Stato abdica alla valorizzazione e le luci e i controlli si spengono, arrivano gli altri: il profitto criminale. Ma i pusher rappresentano solo l’ultimo e più clamoroso oltraggio. Dopo i campioni di “tuffi proibiti” nelle supervincolate fontane. Dopo l’ingresso clandestino degli ambulanti che si fingono fruitori del verde (l’abbonamento annuale costa solo 10 euro per attraversare ogni giorno il bellissimo parco). Dopo i rischi della sicurezza per le facciate fatiscenti, pericolo che ha addirittura fatto saltare un evento internazionale, lo scorso autunno, con i ministri europei del settore aerospaziale.
«Io ho la coscienza a posto, ma siamo bersagliati da polemiche spesso pretestuose. Qui intorno c’è un degrado spaventoso. Basta uscire al casello Caserta nord e attraversare un territorio senza controlli, senza ordine, senza lotta agli abusi. Per non dire della situazione del piazzale antistante la Reggia, che il Comune dovrebbe curare», allarga le braccia la soprintendente
Paola Raffaella David, che ha il merito di avere riaperto, in 4 anni, alcune sale e restituito alla fruizione almeno 200 dipinti che erano abbandonati. «Funzioniamo, e siamo amati nel mondo, nonostante tutto», dice lei. Che, anche nelle ultime settimane, è finita nel mirino del sindaco Pdl, Pio Del Gaudio, per la situazione di «crescente disaffezione dei turisti nei confronti della Reggia». Singolare che a dirlo sia un sindaco che non ha mai fatto strappare via le erbe selvatiche né inviato un agente della municipale intorno a quelle mura. Ma lui si difende con forza: «Intanto la soprintendente sbaglia o dice bugie quando afferma che il piazzale cade sotto la nostra competenza. Nessuno immagina quanto sia complesso il grappolo di proprietà e competenze che riguardano l’area. Il piazzale su cui affaccia la Reggia non sarebbe nostro». Cosa significa “non sarebbe”? Sorride: «Al di sotto c’è il demanio che chiede 40 milioni al Comune perché vi hanno costruito i parcheggi senza avere le autorizzazioni. E sopra, non ci siamo solo noi. Poi ho un Comune in dissesto: solo 90 vigili urbani che diventano 20 se togliamo gli invalidi e quelli negli uffici. Sono un povero sciagurato, come tanti sindaci ». Come la Reggia, primo monumento per abbandono, del Sud.
La Repubblica 04.06.13