Di numeri, purtroppo, questa interminabile crisi economica ne sforna in serie. Quello fornito ieri dalla Cgil, però, fotografa la recessione da una prospettiva inedita. E non è quel che si dice un bel vedere. Infatti, nell’Ufficio economico di Corso Italia non si sono limitati ad effettuare una rilevazione classica e già di per sé drammatica, ovvero quanti anni saranno necessari, ben 13, per ritornare al livello del Pil nel 2007. Nello studio intitolato «La ripresa dell’anno dopo – Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione » c’è, appunto, un altro dato, allo stesso tempo sorprendente e terribile: nel nostro Paese saranno necessari addirittura 63 anni per recuperare il terreno perso in questi cinque anni in termini di occupazione. Non solo, sarà praticamente impossibile ritornare allo stesso livello pre-crisi per quanto riguarda i salari reali. VARIE IPOTESI Un’indagine, quella della Cgil, dove vengono simulate alcune ipotesi di ripresa, nell’ambito delle attuali tendenze e senza che si prevedano modifiche significative di politica economica, sia nazionale che europea. Il tutto per dimostrare la necessità di «un cambio di paradigma», ovvero «partire dal lavoro per produrre crescita». Lo studio, quindi, sostiene che mettendo in atto un “Piano del Lavoro” 1′ occupazione persa «può essere recuperata in tre anni e il Prodotto interno lordo in quattro ». In particolare, l’indagine analizza il contesto economico. Dal 2008 – si legge – il Pil perde mediamente 1,1 punti percentuali ogni anno mentre i posti di lavoro sono diminuiti di oltre 1,5 milioni rispetto al 2007. Ed ancora, i salari lordi perdono lo 0,1% ogni anno (quelli netti lo 0,4%), la produttività è mediamente negativa del -0,2%, così come gli investimenti diminuiscono, sempre in media, di 3,6 punti l’anno. Questo quindi il quadro di riferimento dove innestare le previsioni macroeconomiche dell’Istat, a prescindere dalla congiuntura internazionale, e calcolare di conseguenza quanto tempo ci vorrà ancora per parlare di ripresa e recuperare il livello pre crisi. Guardando al futuro, dunque, se si utilizza come fattore da moltiplicare la previsione Istat per la ripresa nel 2014 (pari a un +0,7%), si ottiene il risultato sopra citato, ovvero la necessità di attendere 13 anni (fino al 2026) per vedere tornare il Pil al livello del 2007. Nel dettaglio finanziario, sarà questo il tempo necessario per colmare il “gap” di 112 miliardi tra il Prodotto lordo del 2014 (1.380 miliardi) e quello del 2007 (1.492 miliardi). Utilizzando gli stessi criteri, invece, il livello dell’occupazione ritornerà ai valori di sei anni fa soltanto nel 2076! In particolare, occorreranno 63 anni per passare dalle 23.531.949 “unità di lavoro standard” del 2014 alle 25.026.400 registrate nel 2007 (-1.494.451 la differenza). E addirittura non si recupererà mai il livello dei salari reali. Infine, il livello di produttività verrebbe recuperato nel 2017 (in 4 anni dal 2013) e il livello degli investimenti nel 2024 (11 anni dopo il 2013). La Cgil ha preso in considerazione anche «ipotesi più ottimistiche» legate alla proiezione di un livello di crescita pari a quello medio registrato nel periodo 2000-2007, ovvero del +1,6%. In questo caso il risultato prevede che il livello del Pil, dell’occupazione e dei salari verrebbe ripristinato nel 2020 (7 anni dopo il 2013) mentre quello della produttività nel 2017 e il livello degli investimenti nel 2024 (12 anni dopo il 2013). Inoltre c’è un’altra rilevazione particolare, con l’indagine che calcola anche la perdita cumulata generata dalla crisi, cioè il livello potenziale di crescita che si sarebbe registrato nel caso in cui la recessione non ci fosse mai stata. Una cifra colossale: 276 miliardi di euro di Pil. «Per uscire dalla crisi e recuperare la crescita occorre un cambio di paradigma», ha commentato il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi. «Per non attendere che sia un’altra generazione – ha aggiunto – ad assistere all’eventuale uscita da questa crisi, e ritrovare nel breve periodo la via della ripresa e della crescita occupazionale, occorre partire dalla creazione di lavoro. La proposta contenuta nel nostro “Piano del Lavoro” si fonda su un forte sostegno alla domanda, che avvenga con un piano straordinario di creazione diretta di nuova occupazione, nonché nuovi investimenti pubblici e privati, verso l’innovazione e i beni comuni».
L’Unità 02.06.13