L’ora X è oggi alle 16. A quell’ora i sindacati varcheranno la soglia del ministero del Lavoro per conoscere in dettaglio il piano Giovannini, dopo settimane di annunci e indiscrezioni di stampa ancora troppo vaghe. La lista sul tavolo è lunga, vista l’emergenza occupazione che il Paese attraversa. Ma su un punto si concentrerà l’attenzione dei tre segretari confederali: quell’ipotesi di revisione della riforma Fornero su cui per ora si è capito molto poco. Il timore, neanche troppo nascosto, è che si voglia tornare alle forme più precarizzanti dei contratti, visto anche il pressing che stanno facendo i datori di lavoro, da Confindustria all’Abi. «Se si vuole limare qualcosa sull’apprendistato, o si vuole esercitare una sorta di moral suasion perché i diversi contratti di categoria accorcino le soste tra un contratto a termine e l’altro, va bene – dichiara Guglielmo Loy, segretario Uil – Ma se si pensa di depotenziare le misure su partite Iva, sul lavoro accessorio e altre forme atipiche, noi non ci stiamo». CONVERGENZA DELLE IMPRESE Su questo i sindacati marciano compatti, così come hanno ritrovato l’unità sulla legge per la rappresentanza, su cui si sono segnalate convergenze anche della Confindustria. Il governo parte dai primi fatti messi in campo con l’ultimo decreto: il rifinanziamento per un miliardo della cig in deroga e la proroga dei contratti a termine della Pa. Ma i sindacati hanno già fatto sapere che quel miliardo non basta. Il ministro Giovannini si è impegnato a ridefinire il perimetro della cig in deroga entro un mese. Si pensa a eliminare l’erogazione per dipendenti di imprese fallite. Anche su questo punto, tuttavia, i rappresentanti dei lavoratori avanzano dubbi, visti i costi sociali che l’operazione potrebbe comportare in un periodo di recessione come questo. Si potrebbe pensare, comunque, a criteri più uniformi tra le diverse Regioni rispetto alla giungla di oggi. Per il premier Enrico letta al primo posto c’è l’occupazione giovanile. Ha già dichiarato che chiederà a Bruxelles l’anticipo del piano «Youth guarantee», cioè garanzia per i giovani, che dovrebbe partire l’anno prossimo. Ma questo capitolo per l’Italia vale solo qualche milione, una goccia in un oceano di giovani senza lavoro che l’esecutivo punta a ridurre, offrendo una chance a circa 100mila under 24. Letta vuole di più, e conta di avere validi alleati, come Francois Hollande e Mariano Rajoy, al vertice di giugno. Già oggi, tuttavia, il premier potrebbe anticipare il tema al consiglio europeo dedicato alle frodi fiscali e all’energia. Giovannini ha già cominciato a lavorare a una riforma complessiva degli ammortizzatori, che dovrebbe essere più orientata verso i giovani, ma ha anche promesso ai sindacati di chiudere entro l’estate la «questione esodati». Non sarà facile, tuttavia, trovare una soluzione che i sindacati possono accettare. Per Cgil, Cisl e Uil alla platea già salvaguardata (130mila) si dovranno aggiungere altre 80mila unità. Il ministero sarebbe orientato invece a fermarsi a 30-40mila in più, utilizzando misure mirate soprattutto in favore di chi è stato licenziato con accordi individuali e di chi aveva iniziato la contribuzione volontaria. A restringere il bacino dei potenziali esodati dovrebbero contribuire i correttivi alle pensioni in chiave flessibilità allo studio dell’esecutivo. In altre parole, si punta alla «forbice» in uscita da 62 anni a 67, con penalità in decalage fino all’azzeramento. Ma sarà difficile proporre questa strada anche agli esodati, che avevano optato per un trattamento diverso. Non a caso ieri la Uil ha alzato le barricate contro le penalizzazioni. «Prepensionamenti in cambio di tagli sull’assegno? – si è chiesto Luigi Angeletti – No, non ci sta bene. Andare in pensione con una penalizzazione che durerà in eterno è un’operazione assolutamente da evitare». Il piano di pensionamento flessibile si dovrebbe incrociare con la staffetta generazionale il mix «part-time lavoro» e «part-pensioni», con un allargamento della sperimentazione in corso, destinate ad entrare nel pacchetto occupazione per incrementare l’occupazione di over 50-55enni. Il meccanismo però non è a costo zero, e sulle risorse a disposizione è ancora nebbia fitta. Vero è che si attende l’uscita dalla procedura d’infrazione per ottenere maggiori margini sul bilancio. Ma sarà sicuramente più facile chiedere la cosiddetta «golden rule» (cioè l’esclusione di alcune spese dal computo del deficit) per gli investimenti, piuttosto che per le politiche di lavoro. Il governo Letta sembra aver rinunciato all’idea di decontribuzioni o defiscalizzazioni legate alle assunzioni: un meccanismo che non funzionerebbe in questa fase. Piuttosto si punta a politiche attive per il lavoro, con formazione e nuove agenzie per l’impiego.
L’Unità 22.05.13