L’Italia sta precipitando nel burrone della crisi economica e sociale. L’Istat ha appena certificato il Pil negativo per il settimo trimestre consecutivo: non era mai accaduto nel dopoguerra. E Berlusconi cosa fa? Èimpegnato nella guerra contro i giudici, tenta ancora a difendersi dai processi anziché nei processi, vuole condizionare, interdire, minacciare. Tutta l’Europa soffre, il nostro Paese però paga il prezzo più salato. Il governo Letta è nato per reagire, per rispondere allo stato di necessità, per evitare che i sacrifici compiuti durante la stagione dei «tecnici» siano sprecati. Due le priorità: il lavoro e le riforme. L’Italia ha bisogno di politiche non convenzionali per rimettere in moto lo sviluppo, e dunque l’occupazione. Anche la parola «priorità» non basta a descrivere l’emergenza: o il lavoro diventerà la vera «ossessione» di chi governa, oppure rischiamo il collasso della nostra civiltà. E per sostenere quest’impresa, è necessario finalmente chiudere il capitolo della seconda Repubblica, riconsegnando ai cittadini una democrazia funzionante, in cui gli elettori tornino a scegliere gli eletti e i governi tornino a decidere le cose che contano.
Viviamo un passaggio drammatico. Eppure il conflitto berlusconiano con la giustizia ricade sul Paese come una condanna, come una disgrazia. La giustizia va riformata, eccome. L’equilibrio tra i poteri va ritrovato, assolutamente. Ma Berlusconi non vuole che la giustizia funzioni. Vuole usare il potere residuo – che non è poco (anche grazie all’aiuto di Grillo, che ha preferito puntare sul Cavaliere anziché sul «modello Sicilia») – per costruirsi uno spazio di immunità.
Certo, senza il Pdl il governo Letta non sarebbe nato. Tuttavia, le minacce politiche così come gli strappi istituzionali sono inaccettabili. Il governo Letta non può deragliare dai suoi binari: il lavoro e le riforme. E non può derogare al principio di legalità, ieri ribadito dal voto del Csm. Non sarà una partita facile. Ma, a questo punto, la partita decisiva passa anche dal destino del governo. Dai suoi risultati dipenderà lo sviluppo della democrazia italiana, non solo la data delle prossime elezioni. Come Berlusconi, anche il Pdl è a un bivio: resterà un partito personale nelle mani del suo «proprietario», oppure ce la farà a diventare una forza di centrodestra di stampo europeo, capace dunque di andare oltre Berlusconi?
Altro che pacificazione. La sfida sarà durissima per tutti i contraenti del patto di governo. La minaccia di Berlusconi verso le istituzioni è in fondo l’altra faccia di quell’ipoteca politica che ha bloccato la transizione italiana. Per il Pd e per Enrico Letta i rischi sono molto alti. Eppure non era possibile sottrarsi alla responsabilità di affrontare, oggi, le emergenze sociali. Come poteva il Pd disinteressarsi del Paese reale e dei suoi drammatici bisogni, mentre il Pil continua a crollare e il sistema politica è prossimo al collasso? Come poteva agire per il tanto peggio, tanto meglio? La sconfitta ha provocato uno shock e una domanda ancora più grande di rinnovamento nel suo popolo: ma la ri-progettazione del Pd passa per l’Italia che soffre, per i problemi concreti, per l’avvio di politiche del lavoro, per le riforme istituzionali. Sì, anche per le riforme istituzionali che suscitano ormai solo scetticismo a causa dei ripetuti fallimenti, e che invece sono indispensabili per liberarci da questa insopportabile seconda Repubblica.
Lavorare per l’Italia. Ricostruire il Pd e i canali interrotti di una democrazia compiuta. Tenere la schiena dritta. Si assuma pure Berlusconi la responsabilità di una rottura, se è questo che vuole. Si assuma Grillo la responsabilità di giocare con il Cavaliere, se il suo proposito è solo quello di sostituire la sinistra. La sinistra delle riforme deve rilanciare la sua sfida senza paura. E senza distaccarsi dagli interessi popolari.
L’Unità 16.05.13