Un’altra legge ad personam. Il Parlamento costretto ad avallare norme per tutelare le paure del premier in difficoltà. E con il blocco delle intercettazioni si elimina uno tra i principali strumenti di lotta contro il crimine. “Così muore la giustizia”. Questo è stata l’ultima critica dell’Associazione Nazionale dei magistrati rivolta al disegno di legge sulle intercettazioni che, dopo il voto definitivo alla Camera, diventa legge. Un’iniziativa affrettata e immotivata, per risolvere le paure personali di Berlusconi, di fatto elimina uno tra gli strumenti principali per la lotta alla criminalità.
Con l’approvazione della legge le intercettazioni potranno essere chieste solo in caso di “evidenti indizi di colpevolezza”, non potranno superare il limite dei 60 giorni e non potranno essere pubblicate fino alla conclusione delle indagini preliminari. Sarà previsto il carcere dai 6 mesi a un anno per i giornalisti e il “via la toga” per il magistrato che rilascerà pubblicamente dichiarazioni sui procedimenti. Infine, accanto alle intercettazioni telefoniche e ambientali, il nuovo provvedimento metterà al bando anche l’utilizzo di videocamere.
Il Governo, per voce del ministro Alfano, ha difeso il “suo” progetto perché garantirebbe l’incolumità di molte persone che, estranee alle indagini, potrebbero essere coinvolte in un caso giudiziario per “colpa” della pubblicazione delle intercettazioni. In realtà è un affermazione sbagliata sia nel merito, sia nei fatti concreti. Anche se venisse considerato valido lo spirito con cui si bloccano le intercettazioni – la salvaguardia di innocenti -, la legge si spinge ben oltre superando quei limiti di ragionevolezza. Infatti le intercettazioni sarebbero fermate dal momento del reato fino al processo: praticamente per un anno almeno.
È perplesso anche Gaetano Pecorella, ex legale di Berlusconi e presidente della Commissione giustizia dal 2001 al 2006. In un intervista rilasciata al quotidiano La Stampa ha dichiarato: “volendo rispondere con una battuta si potrebbe dire che è difficile ammazzare un uomo morto”.
“La misura è colma” si legge nella lettera-appello presentata dal Pd insieme a Idv e Udc al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Le forze dell’opposizione si interrogano con fortissima preoccupazione sulla compatibilità di questo continuo ricorso alla fiducia con i principi costituzionali”.
Lanfranco Tenaglia, responsabile Giustizia del Pd, chede al “ministro Maroni di non fare il gioco delle tre carte. Hanno equiparato le video riprese alle intercettazioni, quindi per usarle servono gli stessi presupposti per usare le intercettazioni. Lui stesso e i deputati della lega in commissione giustizia avevano protestato per questo contribuito ad approvare all’unanimità un emendamento che limitava l’equiparazione alle sole videoriprese captative di conversazioni. Emendamento che poi non è stato volutamente inserito nel maxi emendamento. A questa maggioranza e a questo governo della sicurezza dei cittadini non importa un fico secco, è uno sporco imbroglio.
“L’on. Cota – ha continuato Tenaglia – o non ha capito o gli hanno spiegato male. Lui e il suo gruppo si accingono a votare la fiducia su un testo che equipara le video riprese alle intercettazioni telefoniche e quindi le rende inutilizzabili se non autorizzate preventivamente dal giudice. A questo punto, con questa norma, i sindaci della Lega, che hanno giustamente installato telecamere per prevenire i reati, possono tranquillamente trasferire le telecamere nei propri uffici perché saranno inutili e successivamente vedersi a casa le video cassette degli eventuali reati ripresi da quelle telecamere”.
“Dopo il voto di fiducia sulla legge che impedisce le intercettazioni, tutti gli italiani potranno finalmente capire che Pdl e Lega non hanno intenzione di disturbare il potere mafioso”. Lo ha dichiarato Laura Garavimi, capogruppo dei Democratici in commissione Antimafia. “Con le nuove norme si salva solo la facciata delle intercettazioni, ammesse ancora se una persona è indagata per mafia, ma nella sostanza si impedisce di mantenere efficace questo importante strumento impedendo di attivarle per tutti i reati considerati spia di interessi mafiosi (usura, spaccio, sfruttamento della prostituzione, estorsione, rapina, ricettazione, reati ambientali, incendi dolosi, reati economici) se non in presenza di evidenti indizi di colpevolezza. Insomma, non si potrà più scoprire se uno di questi reati è stato fatto da una cosca mafiosa. Sulla necessità di modificare questo punto, oggetto di allarme anche del Procuratore Antimafia, Piero Grasso, si era detto d’accordo il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che ora accetta in silenzio ed obbediente le decisioni della maggioranza.”
“Il ddl intercettazione acceca i cosiddetti ‘occhi elettronici’ e mette a serio rischio la sicurezza dei cittadini perché limita in modo sconsiderato la possibilità di usare le intercettazioni nel corso delle indagini”. Così la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti ha commentato l’equiparazione delle riprese visive e audio visive alle intercettazioni telefoniche contenute nel ddl Alfano. “Lo scontro politico ‘Ghedini-Maroni’ ha prodotto un mostro giuridico che non tiene conto neanche delle perplessità del procuratore Antimafia, Pietro Grasso che avevano portato il comitato dei nove a votare la scorsa settimana una modifica per superare i problemi derivanti dalla equiparazione delle intercettazioni alle mere riprese visive. Nella redazione del maxi emendamento il governo non ne ha però tenuto conto per cui tutto ciò che sarà video ripreso senza l’autorizzazione preventiva – ha spiegato Ferranti – sarà inutilizzabile ai fini processuali. E così grazie al Governo anche in presenza di un filmato che riprende una rapina o uno stupro quella prova non potrà essere usata nei confronti dei malfattori. Siamo all’assurdo! Inoltre, dall’equiparazione delle videoriprese alle intercettazioni anche la polizia non potrà più predisporre un apparato di ripresa se non in presenza di ‘evidenti indizi di colpevolezza’ e di un’autorizzazione del Tribunale. Ovvero con molto ritardo rispetto al momento in cui si compie un reato. Insomma – ha concluso – con questo provvedimento il governo spunta le armi dello Stato nella lotta alla criminalità e vanifica lo sforzo degli amministratori locali e delle forze di polizia per sorvegliare i propri territori e per prevenire e reprimere i reati”.
Per Pina Picierno “non la crisi, non il problema dei precari o della sicurezza ancora una volta
l’interesse privato del presidente del Consiglio è l’unica vera emergenza di questo Governo. Ancora una volta si cerca confondere le acque facendo passare l’utile personale del presidente del Consiglio per l’interesse dei cittadini. Questa fiducia prosegue il progetto che punta a garantire la totale immunità del presidente del consiglio rispetto alla legge, nell’ottica del “legibus solutus” consona alle monarchie assolute piuttosto che ai sistemi democratici a cui appartiene il nostro paese. Un cammino iniziato con l’approvazione del lodo Alfano e del quale di cui non si vede ancora la fine.
“La scelta di porre la fiducia sul ddl sulle intercettazioni è l’ennesimo incosciente tentativo della maggioranza di difendere il premier a discapito del sistema giustizia”. Lo ha affermato Tonino Russo, vice segretario regionale del Pd siciliano e deputato nazionale. “Parlare di tutela della privacy dei cittadini è davvero un colpo basso: in questo modo si protegge solamente la criminalità organizzata. Mi stupisce – ha aggiunto Russo – che esponenti siciliani della maggioranza e del governo non capiscano che questa manovra è un favore alla mafia. Tutti questi pseudo paladini dell’antimafia facciano un esame di coscienza e pensino a quanti magistrati, uomini delle forze dell’ordine e cittadini hanno sacrificato la propria vita contro la mafia e per uno Stato che, adesso, li sta abbandonando”.
www.partitodemocratico.it, 12 giugno 2009
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