La rete siamo noi, la nostra vita globale è online, come persone e come cittadini. I nostri affetti più intimi sono su Facebook, il nostro lavoro appare su LinkedIn, le nostre foto non vanno nell’album come una volta ma su Instagram. Leggiamo online, scegliamo online i nostri viaggi, online si matura il dibattito politico e culturale.
Dieci anni fa il mondo digitale ha cambiato la musica, cinque anni fa i giornali, presto toccherà alle università trasformarsi, programmi come i Moocs o Coursera costringeranno gli atenei a confrontarsi con l’istruzione via Internet. Papa Francesco è su Twitter, ieri la Cei si interrogava sull’evangelizzazione online in Italia con una relazione di Monsignor Pompili. Il finanziere e mecenate americano Warren Buffett arriva sui microblog di 140 caratteri, senza tweet non raggiunge ormai l’americano medio.
La rete è specchio del nostro tempo, realtà del XXI secolo. Ci parla di libertà e oppressione, ci fa stampare merci con i printer tridimensionali, ci fa perdere posti di lavoro nei settori tradizionali. Nessuno sfugge al suo onnipresente network. Regolare il web sembra dunque indispensabile, perché nessun Far West resta senza steccati, sceriffi e bounty killer per sempre. Ma regolare la rete senza lacerarla, appesantirla con i piombi di leggi e filtri che ci privino della libertà digitale non è semplice.
Ora la presidente della Camera Laura Boldrini riapre il caso «responsabilità e web» dopo le minacce razziste subite da siti squallidi e pericolosi. Rete aperta non può implicare – come troppi illusi e furbi predicano, per ignoranza o interesse – che ognuno possa, protetto dall’anonimato personale e di website, ricattare, calunniare, infangare, minacciare leader politici e semplici cittadini. Negli Anni Settanta l’informazione italiana impose ai giornali di pubblicare i bilanci, perché conoscendo la proprietà di una testata è più semplice distinguerne gli interessi. Nel web non è così, di influenti siti non conosciamo bilanci, sponsors, proprietà.
Questo è un tema – trasparenza delle testate – su cui lavorare. Il resto, come purtroppo la presidente della Camera scoprirà, è assai complesso. Il blocco delle leggi Sopa e Pipa in America, e il fallimento delle velleità Onu di «regolare il web» lo dimostrano. È ovvio che minacce di morte, ricatti, violenza negli slogan vadano messi al bando dalla rete, ma se ci provate in concreto vedrete che non è semplice come mettere il lucchetto al garage. Ieri due dirigenti del centrodestra, Maurizio Gasparri e Antonio Palmieri, hanno preso sul tema posizioni opposte, Gasparri d’accordo con la Boldrini – che pure è stata eletta con la sinistra -, Palmieri contro.
Perché non si tratta più di dialettica Destra-Sinistra come ai tempi dell’Illuminismo, ma di valutazione sulla natura delle Rete. A Gasparri Palmieri spiega che la Rete non «risiede» in Italia, in America o in nessun luogo, regolarla non è semplice. Perfino i cinesi, che hanno un sistema di censura sofisticato e costosissimo, non riescono a fermare i dissidenti, figuriamoci noi in democrazia con gli invasati.
La presidente della Camera, del resto, denuncia anche i paparazzi che inseguono sua figlia 19enne mentre corre in motorino mettendola a rischio, o i miserabili che cercano di fotografare suo fratello, autistico. Anche gli old media, purtroppo e non solo il web, pullulano di guai, arroganze, materialismi da quattro soldi.
La tecnologia è, e resterà, più veloce del diritto. Le leggi sull’agricoltura e la sua proprietà ebbero millenni per regolare un settore che mutava pochissimo di generazione in generazione. L’industria classica ebbe un secolo, dallo sfruttamento dei bambini al welfare state, per trovare l’intesa con la legge. I primi giornalisti in Germania, dopo Gutenberg, vennero scuoiati vivi, e la loro carcassa impagliata e mostrata nelle fiere a monito contro l’informazione. Ci vollero secoli per una regola democratica ma alla fine arrivò.
Il web, che richiedeva prima un computer da tavolo, poi da borsa e oggi arriva in tasca con i cellulari, muta ogni sei mesi, i social media che scandiscono la nostra vita erano sconosciuti solo dieci anni fa. Oggi l’esercito israeliano e Hamas si insultano a vicenda su Twitter, portando l’odio in tasca a ciascuno di noi. Altro che Paradiso online!
Non è però il web a rendere feroci i siti, è la ferocia che c’è in giro ad animali. A Torino hanno inneggiato in corteo allo sparatore di Roma, come usava con le Br negli Anni 70 e allora il web non c’era. Una legge non fermerà il populismo violento, anche se, certo, chi minaccia online va punito: e fa male, molto, Beppe Grillo a illudersi di guidare la tigre della rete afferrandola per la coda e fingendo di credere che la Boldrini chieda censure. L’ex attore e oggi capo del M5S, che distruggeva un tempo i computer sul palcoscenico, si accorgerà presto che, scatenato, l’Apprendista Stregone non si riesce più a fermare.
Le leggi ci sono e si possono, lentamente, migliorare. Ma alla lunga la battaglia tra Tolleranza e Intolleranza, Equilibrio e Violenza, Ragione e Ricatto online la si vince su valori, argomenti, chiarezza, ideali. Il web non è arma del Male o Scudo del Bene: è il campo di battaglia tra Bene e Male, tra democrazia e populismo irrazionale. La repressione serve in casi estremi ma giorno dopo giorno ci serve una paziente opera di persuasione. Con l’umile consapevolezza che tanti lavoreranno contro e che, a guardare il web di oggi, non ci appare affatto un vincitore certo. Per vincere contro grassatori, razzisti, violenti online una legge non basta, servono intelligenza, forza d’animo e amore per la rete e la giustizia.
La Stampa 04.05.13