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"Una scuola moderna ma con i parametri Ocse", di Paolo Conti

Non è solo questione di fondi. C’è una complessiva centralità che la scuola sembra aver perso come agenzia sociale di formazione delle nuove generazioni, e quindi di riferimento per la intera collettività. Ha detto Enrico Letta: «La società della conoscenza e dell’integrazione si costruisce sui banchi di scuola e nelle università. Dobbiamo ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori che in tante classi volgono il disagio in speranza e dobbiamo ridurre il ritardo rispetto all’Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica». Il presidente del Consiglio ha aggiunto che solo il 10% dei giovani italiani col padre non diplomato riesce a laurearsi contro il 40% in Gran Bretagna e il 33% in Spagna. Inutili i commenti, le cifre sono troppo eloquenti. La scuola pubblica italiana è in una crisi abissale. Molti insegnanti si sentono in trincea senza un quartier generale alle spalle. E quel quartier generale è un governo, la mano politica.
Non è solo questione di fondi. C’è una complessiva centralità che la scuola sembra aver perso come agenzia sociale di formazione delle nuove generazioni, e quindi di riferimento per la intera collettività. C’è chi non vede l’ora di raggiungere l’età della pensione per abbandonare un mondo nel quale non si riconosce più. Non c’è solo l’età di mezzo: è la perdita di un senso complessivo del lavoro, la sensazione di uno sganciamento dalla contemporaneità.
Sicuramente il nuovo capo del governo sa che per creare quella nuova società «della conoscenza e dell’integrazione» di cui ha parlato c’è un solo metodo, per non perdere tempo: allinearsi all’Europa. L’Ocse, pochi giorni fa, ha esaminato il Piano nazionale scuola digitale e ha scoperto che appena il 30% degli studenti italiani per studiare usa le tecnologie della comunicazione contro il 48% della media europea. Appena il 16% delle classi è dotata di una lavagna interattiva contro l’80% della Gran Bretagna. È ovvio che, per ricostruire una società che ha perso coesione, occorre ripartire dalla scuola . E la questione non riguarda solo i ragazzi. Recentemente Tullio De Mauro ricordava: «Basterebbe un piccolo investimento per tenere aperte le scuole nel pomeriggio e organizzare corsi di varie discipline per «rieducare» quegli adulti ancora attivi ma condannati a una progressiva, inesorabile marginalità culturale e sociale».
Insomma, la scuola è ancora una risorsa, una possibile rampa per un nuovo decollo. Ma un governo deve crederci profondamente. Esperienze molto amare, e nemmeno tanto lontane, dimostrano come certi slogan facili quanto inutili passano. E la scuola sempre più impoverita di mezzi e di motivazioni resta. Purtroppo per l’Italia, a terra rispetto all’Europa.

Il Corriere della Sera 30.04.13

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