Il nuovo Governo Letta, nato dall’emergenza e dai contrasti insanabili tra i partiti, ma cementato dalla superiore visione dell’interesse nazionale del presidente Napolitano, deve essere orientato pragmaticamente a risolvere i problemi. Soprattutto dell’economia reale, che è la grande malata del nostro Paese.
Oltre ad affrontare le ferite interne più urgenti e laceranti (disoccupazione, crisi della domanda domestica, crescente numero dei fallimenti di imprese, aumento delle sofferenze bancarie, pagamento dei debiti arretrati della Pa), il nostro nuovo Governo deve anche agire rapidamente in Europa. Deve subito recuperare la credibilità ricostruita a Bruxelles da Monti. Una credibilità che, sia pure non accompagnata da un adeguato aumento della nostra capacità di contrattazione, era risalita ma poi si è nuovamente incrinata dopo quattro penosi mesi di incertezza politica, che ci hanno quasi riportato al novembre 2011: cioè a dove eravamo partiti, quando eravamo in piena crisi di fiducia dinanzi agli occhi del mondo e lo spread era ai massimi.
Nell’ultimo anno e mezzo l’Italia i cosiddetti “compiti a casa” li ha fatti con impegno, ma a Bruxelles e nel Nord Europa il nostro Paese viene sempre guardato con diffidenza e pregiudizio, come lo studente a cui è appiccicata addosso una cattiva fama che non riesce a far dimenticare. Infatti, per quanto l’Italia si sforzi di migliorare, sembra rimanere perennemente relegata con gli ultimi della classe, cioè con la Grecia e ora anche con Cipro. La grande liquidità presente sui mercati tiene oggi bassi gli spread ma non ci aiutano certamente le ripetute “sparate” sui media tedeschi di Beppe Grillo, che profetizza la bancarotta dello Stato italiano in autunno a dispetto del fatto che il nostro Paese, numeri alla mano, potrebbe presto uscire dalla procedura d’infrazione europea. Far confusione non serve. È tutta pessima pubblicità per l’Italia, di cui in questo momento non abbiamo proprio alcun bisogno. Veniamo da vent’anni di dura lotta politica basata sulla autodistruzione progressiva della nostra immagine a livello internazionale, con i vari partiti che si sono ripetutamente rinfacciati l’uno con l’altro la colpa di aver portato alla rovina l’economia italiana. Auguriamoci di non dover andare avanti per altri vent’anni nello stesso modo, senza che nessuno si adoperi per trovare finalmente delle soluzioni concrete ai problemi reali.
Intanto cominciamo a ricompattarci attorno al Paese. Che ha fatto, soprattutto a livello di famiglie e imprese, sacrifici durissimi (speriamo non per niente) e che quindi dovrebbe ora passare a riscuotere in Europa ciò che gli è dovuto. I dati consuntivi sui deficit statali dei vari Paesi Ue diffusi la scorsa settimana dall’Eurostat sono oro colato per l’Italia che, avendo le carte in regola, a Bruxelles dovrebbe finalmente alzare un po’ la voce. Oggi il nostro Paese ha un forte quintetto di negoziatori in Letta-Saccomanni-Bonino-Moavero Milanesi-Giovannini che dovrebbe rappresentare al meglio le nostre esigenze illustrate ieri dal nuovo Presidente del Consiglio nel suo discorso alla Camera quando ha sottolineato la necessità di poter coniugare più crescita con il rigore. Soltanto nell’ottobre scorso la Commissione Europea riponeva grande fiducia nelle sue previsioni d’autunno sulle capacità di molti Paesi dell’Eurozona di abbassare rapidamente i deficit. Nella realtà, solo poche economie sono riuscite a farlo, tra cui l’Italia. Il deficit italiano, infatti, anziché al 2,9% si è attestato al 3%. Solo una leggerissima differenza. Ci sono invece un paio di economie molto importanti che a fine 2012 sono andate meno bene del previsto, cioè Francia e Olanda. Belgio e Cipro hanno fatto ancor peggio mentre è ancora notte fonda per Portogallo, Spagna e Grecia, con deficit pubblici che restano altissimi e ben più gravi rispetto alle attese di sei mesi fa.
Se l’Italia viene messa a confronto con la Spagna non c’è assolutamente gara. Infatti, mentre il nostro Paese è ormai sceso ad un deficit allineato al fatidico 3% di Maastricht, il Paese iberico ha chiuso il 2012 con un disavanzo statale di 112 miliardi di euro, pari al 10,6% del proprio Pil rispetto all’ottimistico 8% previsto ad ottobre. Madrid, in parole povere, pur avendo un’economia più piccola, ha un bilancio statale peggiore di quello italiano di 64 miliardi di euro e di ben 7,6 punti di Pil. Qualcuno dirà: ma il debito pubblico italiano rispetto al Pil resta il secondo più alto d’Europa dopo quello greco.
Noi ci auguriamo che il nuovo Governo si decida a contestare a Bruxelles questo anacronistico rapporto statistico, in base a quale ancor oggi varie economie disastrate, tra cui Spagna, Cipro, Slovenia, Lettonia, sembrano avere finanze più sostenibili di quella tedesca o ad essa raffrontabili, mentre l’Italia, che ha ben altra solidità, somiglia addirittura alla Grecia. Ci chiediamo quanto tempo dovrà ancora passare prima che i vari partiti italiani, gli uffici studi, i centri di ricerca economica delle Università italiane, l’Istat e la stessa Banca d’Italia si decidano a tirar fuori qualche nuovo indice per meglio “rappresentare” il nostro debito pubblico e la sua sostenibilità relativa.
Il debito pubblico italiano, sia chiaro, è altissimo e va assolutamente ridotto, tagliando finalmente le spese improduttive e gli sprechi anziché imporre nuove tasse. Ma in valori assoluti oggi comunque il nostro debito non svetta più su tutti gli altri come vent’anni fa: infatti, è più basso di 150 miliardi di euro di quello tedesco ed è ormai prossimo ad essere raggiunto anche da quelli di Francia e Gran Bretagna, che agli inizi degli anni ’90 in euro erano la metà del nostro. Mentre in termini relativi il debito statale italiano è assai più sostenibile di quelli di tanti altri Paesi il cui stock di ricchezza privata è infinitamente inferiore a quello dell’Italia. Sicché se il nostro debito pubblico fosse rapportato alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie scenderebbe dal 127% del Pil ad un ben più rassicurante 75,6% (non molto distante dal 67% circa a cui si attestano Francia e Germania), mentre il debito pubblico della Spagna salirebbe, rispetto all’84,2% calcolato sul Pil, al 118,8% della ricchezza, quello dell’Irlanda balzerebbe al 155,8% e quello della Grecia addirittura al 335,3%.
Se riuscissimo finalmente a rappresentarci meglio, “tirando fuori” i nostri numeri, forse a Bruxelles potremmo conquistare spazi di manovra per negoziare importi maggiori e tempi più rapidi dei pagamenti dei debiti arretrati della Pa, riduzioni progressive del cuneo fiscale e dell’Irap, margini per accrescere le spese in ricerca e in investimenti infrastrutturali. Altrimenti continueremo ad arrancare e a balbettare, in costante attesa che i “professori” del Nord Europa si degnino di capire che l'”allievo” Italia merita voti ben più alti di quelli di tanti altri studenti disattenti ed inconcludenti che continuano a tirare a campare sulla base di un rapporto debito/Pil più basso del nostro ma solo apparentemente più tranquillizzante.
Il Sole 24 Ore 30.04.13