Sostegno al tentativo di Enrico Letta ma, primo, serve una squadra di governo fortemente rinnovata e senza impresentabili e, secondo, adesso il partito deve garantire il confronto a tutti i livelli, un profondo ricambio della classe dirigente, una discussione congressuale seria che porti a «rifondare il Partito demo- cratico». Mentre Pippo Civati e gli altri parlamentari contrari a un esecutivo insieme al Pdl («siamo una cinquantina ma quelli che si manifesteranno saranno la metà») preparano un documento molto critico da lanciare prima del voto di fiducia, i segretari regionali e provinciali del Pd arrivano a Roma dopo aver vissuto giornate difficili. Sui territori, le votazioni per il Quirinale hanno provocato tensioni, suscitato proteste fomentato la rabbia di militanti e simpatizzanti che non hanno digerito né la proposta di Franco Marini perché figlia di un’intesa con il Pdl né l’impallinamento di Romano Prodi ad opera di 101 franchi tiratori. Ed è toccato a loro affrontarli, dare spiegazioni. Anche se non erano stati coinvolti prima che a Roma si prendessero le diverse decisioni. Per questo ora arrivano al quartier generale del Pd apprezzando la convocazione per fare il punto sul governo, ma agli interlocutori che hanno di fronte spiegano che adesso molte cose dovranno cambiare, anche perché il rischio è di «non reggere» sui territori.
Con Pier Luigi Bersani, che passa per un saluto veloce al terzo piano del Nazareno dove sono riuniti, c’è uno scambio di battute e un lungo applauso quando il segretario dimissionario si congeda chiedendo a tutti «senso di responsabilità» e sostegno all’operazione Letta «per il bene della ditta». Ma poi parte una discussione tutt’altro che di rito, le critiche al modo in cui è stata gestita la partita per il Quirinale non mancano e i moniti per il futuro nemmeno. «Serve un governo al servizio del Paese», dice Roberto Speranza aprendo i lavori. Il sostegno al tentativo avviato da Letta non manca (gli interventi contrari si contano sulle dita di una mano) però un po’ tutti insistono sul fatto che sarebbe difficile difendere un governo di cui facciano parte «impresentabili» del Pdl.
Ma è soprattutto sulla gestione della partita per l’elezione del Capo dello Stato che vengono espresse le critiche più dure. I segretari provinciali di Bologna, Ferrara, Livorno e di molte altre città contestano la scelta di puntare su Marini proprio perché rappresentava un cambio di linea rispetto al no alle larghe intese ribadito per settimane dal gruppo dirigente. E ancora più duro e ancora più generalizzato è l’attacco all’impallinamento di Prodi che, viene ripetuto da diversi dirigenti locali, è la dimostrazione di una mancanza di tenuta del partito, della necessità di rinnovare l’intero gruppo dirigente e di «rifondare il Pd» con un «congresso serio» (le due espressioni più ricorrenti).
Il segretario del Pd di Bologna Raffaele Donini, che si dice favorevole al governo Letta purché resti in carica per «un tempo circoscritto» e per affrontare un numero limitato di questioni, dice della vicenda Quirinale: «Non si può raccontare che la partita di Marini è stata la stessa di Prodi. La candidatura di Marini divideva il Pd e non era in coerenza col percorso che aveva portato all’elezione di Boldrini e Grasso. Su Prodi è stata fatta una vigliaccata. E respingo anche la caricatura con cui si dipingono i dirigenti locali non in grado di reggere un tweet. Un gruppo dirigente nazionale che non si relaziona coi territori è un tronco secco».
È il cambio di linea, dal no alle larghe intese al governo con esponenti del Pdl, a venir messo al centro del mirino. Per questo i segretari regionali e provinciali chiedono una discussione congressuale seria, senza perdere tempo, e un cambio di fase. «Bisogna aprire spazi di confronto a tutti i livelli», sottolinea il segretario del Pd di Milano Maurizio Martina. Ci sono stati «limiti nella costruzione del partito», dice il commissario del partito calabrese Alfredo D’Attorre. C’è anche chi chiede di fare un congresso a tesi perché non c’è soltanto un segretario da eleggere ma un partito, per dirla con il segretario del Pd della Campania Enzo Amendola «da rifondare». Un concetto che ripetono in tanti, sottolineando come la ragion d’essere stessa del partito, che doveva chiudere il ventennio berlusconiano e garantire un governo di cambiamento, rischia di venir meno.
Sono questioni che verranno affrontate già all’Assemblea nazionale di sabato prossimo, ma su cui si aprirà una discussione già al momento di votare la fiducia al governo Letta. Civati e gli altri contrari all’operazione in atto stanno preparando un documento molto duro da far firmare ai dissidenti. Hanno già espresso contrarietà a un’esecutivo con il Pdl Laura Puppato, Sandra Zampa, Corradino Mineo, Sandro Gozi, ma potrebbero firmare il documento anche un’altra ventina di parlamentari Pd (si parla di Felice Casson e di Alessandra Moretti, mentre Rosy Bindi smentisce indiscrezioni che la danno tra i firmatari). Prima di tutto bisognerà però vedere se il tentativo di Letta andrà in porto e quale sarà la lista definitiva dei ministri. Poi si vedrà, nel caso di voti contrari, cosa sarà della discussione che si è aperta da giorni sull’ipotesi che un no alla fiducia determini un’espulsione.
L’Unità 27.04.13