Alle consultazioni al Quirinale, insieme ai capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda, dovrebbe andare Enrico Letta. E però Pier Luigi Bersani potrebbe cedere alle pressioni, che in queste ore gli stanno arrivando da più parti, a restare alla guida del partito in questa fase di transizione verso il congresso. Due fatti in contraddizione? No, se valutati alla luce di quel che sta succedendo nel Pd.
La rielezione di Giorgio Napolitano ha fatto uscire dall’impasse venuta alla luce con il naufragio delle candidature al Colle di Franco Marini e di Romano Prodi. Ma le difficoltà per i democratici non sono finite, anzi, e allora è meglio non aprire altri fronti e rischiare ulteriori lacerazioni. Le dimissioni di Bersani formalmente non sono operative (al quartier generale del Pd spiegano che vanno rassegnate di fronte a un organismo politico come la Direzione e non è sufficiente l’annuncio ai Grandi elettori) ma già si è innescata nel partito una discussione sul tipo di guida da dare in questa fase che precede il congresso.
GABINETTO DI CRISI
La reggenza ipotizzata in un primo momento, con eventuale incarico a Letta, è stata contestata da diverse componenti del Pd, a cominciare da ex-popolari e renziani, che chiedono invece una gestione collegiale che sia garantita da un organismo in cui siano presenti tutte le anime del partito. Aprire uno scontro su chi debba guidare il Pd è rischioso per tutti, e da Dario Franceschini a Luigi Zanda, da Guglielmo Epifani alla piacentina Paola De Micheli allo stesso Letta, sono molte le pressioni che sta ricevendo Bersani affinché resti al suo posto fino al prossimo congresso.
Il segretario dimissionario per ora non cede, ma non è escluso che per evitare il rischio di ulteriori fratture interne decida alla fine di congelare fino al congresso le sue dimissioni. Contemporaneamente però, stando ai ragionamenti che già si fanno ai vertici del Pd, si darebbe vita a un nuovo organismo collegiale che in questa fase gestisca la crisi e poi faccia da ponte di collegamento tra partito e governo nel seguito della legislatura. Che, se tutto andrà come previsto, non sarà di così breve durata. E una cosa è chiara fin d’ora: non sarà facile per il Pd gestire la stagione che si apre. L’ipotesi che si vada verso un governo politico in cui convivano ministri del Pd e del Pdl sta già provocando fibrillazioni all’interno dei gruppi parlamentari democratici. L’attesa per il discorso che farà oggi pomeriggio a Montecitorio il Capo dello Stato è alta, ma sono già diversi i deputati e senatori Pd che annunciano il loro no alla fiducia nel caso si prefiguri un governo di larghe intese.
A RISCHIO DIVISIONE
Matteo Orfini spiega le ragioni del sì a Napolitano aggiungendo che quel voto non va collegato a «cose che non c’entrano nulla, come il governissimo»: «Io ho votato un presidente della Repubblica. E quel voto non impegna né me né il Pd al sostegno di un governo col Pdl. Questo lo abbiamo chiarito prima del voto e lo ripeto ora. Al governo con Berlusconi ero e resto contrario». Critico con la strada imboccata è anche Pippo Civati, che se la prende con «quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra»: «Ora potremmo avere un presidente come Prodi e un premier come Barca e invece avremo Monti all’economia e magari Alfano vicepremier. Perdendo Sel, per altro, il Pd sarà azionista di minoranza del nuovo governissimo (il Pdl avrà più peso elettorale, anche se sembra non averlo notato nessuno)». E critica con l’ipotesi che a guidare un governo di larghe intese sia il vicesegretario Pd è Rosy Bindi: «Ho grande stima di Enrico Letta e credo che sarebbe molto capace e saprebbe guidare un governo ma di certo questo non è il momento».
Parole pronunciate in televisione che provocano nuove tensioni fuori e dentro il partito, e alle quali Bindi fa seguire una nota di rettifica soltanto parziale: «In questa fase un esecutivo con una evidente caratura politica e non mi riferisco solo al vicesegretario del Pd non sarebbe capito dalla nostra gente e non sarebbe utile al Paese. Abbiamo sempre escluso le larghe intese e le ipotesi di governissimo e mi pare che questa sia ancora la linea del partito».
Il nodo è politico e andrà sciolto, se si vogliono evitare drammatiche conseguenze nel passaggio della fiducia, nei colloqui di queste ore e soprattutto nella Direzione che sarà convocata domani, dopo aver ascoltato oggi le parole del Capo dello Stato. Bersani da Piacenza, dove ha trovato ad accoglierlo striscioni di sostegno («i giovani del Pd non tradiranno il partito» e «restiamo al tuo fianco»), ieri ha sentito Letta e gli altri dirigenti per fare il punto. Su un governo di scopo che realizzi le riforme, anche istituzionali, necessarie al Paese il consenso c’è. Le cose però si complicherebbero se il governo del presidente dovesse avere una marcata fisionomia politica, sul modello ipotizzato al momento dell’elezione di Napolitano.
Bersani ha assicurato ai suoi interlocutori che nulla è deciso, che le indiscrezioni trapelate finora non hanno fondamento. Sarà fatta luce oggi, col discorso del Presidente della Repubblica di fronte ai Grandi elettori. Poi domani ci sarà il pronunciamento della Direzione Pd, che stando alle indiscrezioni della vigilia dovrebbe votare una mozione comunque di sostegno alla posizione espressa da Napolitano. Bisognerà però vedere, considerato quel che è successo per l’elezione del Capo dello Stato, se tutti i parlamentari poi si atterranno a quanto votato.
L’Unità 22.04.13