Sta diventando una notizia qualsiasi, anche un po’ ripetitiva, quindi sempre meno interessante, basta prima pagina e titoloni, quasi sempre sensazionali e sbagliati, inutili i commenti, tanto ormai si è detto tutto, e arzigogolato su tutto. Ne hanno ammazzato un’altra e un’altra ancora, una si sono accontentati di sfigurarla, e avanti
così. È come se fosse diventata un’abitudine farlo e subirlo, e una barba venirne informati. Ci indigniamo? Riempiamo le piazze? Chiediamo giustizia? Pretendiamo che non succeda più? Mah, ci si è logorati anche a protestare. E poi, mentre si è lì a dire la nostra, con cartelloni e cori, ecco che da qualche parte ne ammazzano un’altra. Per le istituzioni era un impiccio prima, figuriamoci adesso, c’è ben altro da pensare con il casino politico sempre più contorto.
Certo col famoso rinnovamento che per ora si è accasciato, si troverà forse il tempo di buttar lì un volonteroso pensiero: ma intanto chissà, persino in quella folla di italiani pro o contro Marini o Prodi o chiunque altro, che fuori da Montecitorio brucia la tessera pd, sventola bandiere pdl, mostra cartelli grillineschi, magari c’è uno, c’è una, che prossimamente, in un momento di sospensione per la passione civile, torneranno ad essere solo un uomo e una donna, e l’uomo sarà accecato da una più funesta passione e taglierà la gola alla donna che ne è la causa. Perché si sta chiarendo il fatto che gli uomini che ammazzano o tentano di ammazzare mogli, ex mogli, fidanzate, ex fidanzate, ragazzine spensierate e pure prostitute, non appartengono a mondi separati dal nostro, non sono pazzi, poveracci, immigrati, o comunque gente lontana: non è solo il vecchio miserabile marito che, in un tugurio di Kabul, si risveglia dal coma e si getta sulla giovane bellissima moglie, nel meraviglioso film dell’afgano Rahimi, “Come pietra paziente”.
I codici del comportamento feroce e vendicativo maschile non conoscono classi, né culturali né economiche: così una delle ultime vittime di questi giorni è un’avvocatessa di 35 anni, che a Pesaro è stata sfregiata con acido solforico e, oltre ad avere il viso distrutto, rischia la cecità. Per ora è andato in prigione un avvocato che era stato suo compagno sino a due anni fa, accusato di essere il mandante di un sicario prezzolato, per provocare non la morte, ma la cancellazione del viso che lo ossessionava, il viso di un nemico colpevole di non appartenergli più. L’uomo si dice innocente, ma per ora non gli credono, e comunque la vittima non è, come ci si ostina a voler credere, una donna delle periferie sociali, ma una persona nota nella sua città, in un ambiente professionale e borghese. Pensi: ma in questi giorni di sconquasso politico e di disastro economico, l’interesse sarà tutto per quello che sta succedendo, perché è la vita di tutti noi che è in gioco. E invece c’è chi la vita la rifiuta, e non gliene importa niente di quel che succede a Montecitorio o nel paese: è chiuso nella sua disperazione e impotenza come a Roma la guardia giurata che non poteva certo perder tempo ad ascoltare di elezioni e di disoccupazione, o magari manifestare come tanti davanti al Parlamento, quel che contava era punire la moglie che non lo voleva più. Lei stava scappando, lui stava inseguendola, tutti e due in macchina, zigzagando pericolosamente come in un thriller. Lui l’ha raggiunta, dal finestrino le ha sparato sei colpi con la pistola di ordinanza, poi si è sparato: lei morta, lui in fin di vita.
Ma qui da noi non si perde tempo, i codici dell’onore e della vendetta hanno fretta: così lo stesso giorno a Montebelluna tutto il corpo e l’anima e l’immaginazione di un rappresentante di materassi quarantenne è bloccato sul corpo, sull’anima, sull’immaginazione dell’ex fidanzata di 22 anni, segretaria nello studio di un commercialista: per riconquistarla lui aveva persino comprato un’intera pagina del
Gazzettino di Treviso per dirle: «Sono pazzo di te». Poi si era fatto sempre più aggressivo e Denise lo sveva denunciato per molestie ai carabinieri: i quali lo avevano diffidato, sai quanto gliene importa a uno che non è genericamente pazzo, ma pazzo della preda che gli è sfuggita e che non se lo deve permettere. Ha aspettato che uscisse dall’ufficio e le ha sparato alla nuca, poi si è sparato. Escono libri a decine (e l’ultimo è L’ho uccisa perché l’amavo di Loredana Lipperini e Michela Murgia), si fanno spettacoli di grande successo che girano l’Europa (“Ferite a morte” di Serena Dandini): li leggono in tanti, li vanno a vedere in tanti, e ne discutono, donne e soprattutto uomini, deprecando. Se la ricordassero tutti, quell’emozione, quell’indignazione provata con quelle storie vere. Soprattutto gli uomini, anche quando la loro donna non vuole più essere loro: il dolore si può sopportare. E si svegliassero anche le forze dell’ordine che pure hanno già tanto lavoro: se una donna denuncia molestie, è perché ha un probabile futuro di vittima; magari non accontentarsi di una diffida, fare una piccola indagine…
La Repubblica 20.04.13
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