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"Sul lavoro l'allarme della Cgil. Non si ferma il boom della cassa", di Roberto Giovannini

La Cgia di Mestre dice – per quel che valgono i confronti – che questa crisi per l’Italia è peggio di quella del ’29. Certo è che gli effetti che l’attività economica sta subendo per questa recessione sono davvero rovinosi. Le imprese si fermano, la produzione si blocca, e i posti di lavoro vengono congelati. E si trasformano in cassa integrazione. Grazie agli ammortizzatori sociali i dipendenti non perdono il loro impiego; ma per chi lavora in un’azienda in crisi riuscire a vivere di cassa integrazione diventa una vera e propria impresa. Negli anni ’80 si diceva che i cassintegrati alla fine se la passavano meglio degli altri, potendo incassare un discreto assegno e magari svolgere qualche «lavoretto» al nero. Oggi lavoretti al nero o al bianco non ce ne sono, e allora per un operaio o un impiegato la questione è riuscire a far campare una famiglia con 850 euro al mese, invece dei 1800-2000 normalmente percepiti.

Sono in tanti a vivere questa situazione di estrema difficoltà, quasi 520mila lavoratori dall’inizio del 2013. Secondo un rapporto della Cgil diffuso ieri, a marzo si è registrato un vero e proprio boom di Cassa integrazione , con poco meno di 100 milioni di ore richieste nel corso del mese. Le 96.973.927 ore registrate a marzo segnano infatti un incremento consistente su febbraio (pari ad un +22,44%), mentre da inizio anno il monte ore complessivo è pari a 265.043.645 per un +11,98% sul primo trimestre del 2012. Dietro questa mole di ore sono coinvolti da inizio anno circa 520mila lavoratori che hanno subito un taglio del reddito per 1 miliardo di euro, pari a 1.900 euro netti in meno per ogni singolo lavoratore. A questa cifra si arriva considerando i «lavoratori equivalenti a zero ore», cioè se si considera l’assenza completa dall’attività produttiva per 13 settimane lavorative. Se invece si considera il «ricorso medio alla Cig», cioè il 50% del tempo lavorabile, la cassa coinvolge oltre 1 milione di lavoratori.

Il rapporto della Cgil segnala come a partire da gennaio del 2009 ad oggi le ore di Cig autorizzate siano state stabilmente intorno alle 80 milioni per mese. Un trend che al momento porta a prevedere anche per l’intero 2013 di superare il miliardo. La Cig ordinaria è cresciuta di quasi un terzo nei tre mesi iniziali del 2013. Di ben 53 punti percentuali invece il balzo delle richieste di ore di cassa straordinaria, mentre quella in deroga ha registrato un impressionante +147% mensile a marzo, ma una diminuzione del 46,6% nel raffronto annuo tra trimestri. Un dato che è però da ascrivere – secondo la Cgil più a problemi procedurali e di pagamenti che a un miglioramento della situazione. A livello regionale, la Lombardia è al primo posto per ore autorizzate, seguita da Piemonte e Veneto. Nel resto del Paese situazioni tese si segnalano nel Lazio e in Campania. Quanto alla tipologia produttiva, la meccanica è ancora il settore più colpito.

«Da tempo stiamo dicendo che l’andamento del 2012 ci diceva che il 2013 avrebbe moltiplicato la necessità di risorse della cassa integrazione», commenta la leader della Cgil Susanna Camusso. «È la ragione – aggiunge – per cui durante la discussione sulla legge di stabilità chiedevamo che le risorse venissero incrementate, ed è la ragione per cui il 16 saremo con una manifestazione nazionale a chiedere risorse per la cassa integrazione in deroga». E per il leader di Sel Nichi Vendola, «l’Italia sta crepando e le pubbliche amministrazioni sono i curatori fallimentari».

La Stampa 14.04.13

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«QUESTA CRISI È PEGGIORE DEL ’29» RECORD DELLA CASSA INTEGRAZIONE, di Giuseppe Caruso

La cassa integrazione continua a crescere. Secondo i dati che emergono dalle elaborazioni effettuate dalla Cgil sulle rilevazioni Inps, a marzo le richieste per la Cig, con poco meno di 100 milioni di ore registrate, sono aumentata in tutti i suoi segmenti (ordinaria, straordinaria e deroga), sia sul mese che sull’anno. Le ore registrate nel mese scorso segnano infatti un incremento consistente su febbraio (pari ad un +22,44%), mentre da inizio anno il monte ore complessivo è arrivato ad un eloquente +11,98% sul primo trimestre del 2012.

SENZA ARGINE Dietro questa montagna di ore ci sono circa 520 mila lavoratori che hanno subito un taglio del reddito per 1 miliardo di euro, pari a 1.900 euro netti in meno per ogni singolo. Il rapporto della Cgil segnala come a partire da gennaio del 2009 e fino ad oggi, le ore di cassa integrazione autorizzate siano state stabilmente intorno alle 80 milioni di ore per mese. Un andamento che al momento fa prevedere anche per il 2013 un totale di ore di cassa integrazione oltre il miliardo. Il segretario confederale della Cgil, Elena Lattuada, commentando i numeri della cig ha sottolineato come «l’intero mondo del lavoro, sta letteralmente precipitando, trascinando dietro di sé l’intero Paese, travolto com’è da una valanga che non trova davanti a sé alcun argine. Servono risposte con urgenza che mettano al centro il lavoro, a partire dal finanziamento della cassa in deroga e per questo saremo in piazza unitariamente il 16 aprile a Roma. Un appuntamento che potrebbe rappresentare l’avvio di un percorso di iniziativa sui temi del lavoro ». Lattuada ha segnalato anche «la forte preoccupazione determinata dall’aumento delle richieste di intervento sulle crisi di grandi gruppi industriali che non trovano risposte soddisfacenti e che rappresentano un ulteriore segnale della profondità della crisi e della necessità di una politica industriale a tutela dei settori manifatturieri e dell’occupazione ». Il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra, spiega invece che «con la cig intorno alle 100 milioni di ore mensili e con la recessione, è illusorio pensare che tutti i lavoratori coinvolti possano rientrare nelle aziende di provenienza. Ministero del lavoro e Regioni progettino, insieme alle parti sociali, un programma straordinario di riqualificazione per accompagnare i lavoratori verso altri mestieri e altri settori in cui vi sono maggiori possibilità». Stessa preoccupazione in casa Uil, espressa dal segretario confederale Guglielmo Loy: «C’è il rischio concreto che undici lavoratori su cento del settore privato nel 2013 possano finire in cig. I lavoratori contribuenti dovranno sborsare mediamente 712 euro tra Imu, Tares e addizionali locali nel 2013, ma pochissime amministrazioni locali prevedono agevolazioni per chi ha perso il lavoro». A confermare la tesi dell’assoluta gravità della situazione italiana, ieri è arrivato uno studio della Cgia di Mestre, secondo cui gli effetti negativi della crisi economica attuale sono più pesanti di quelli registrati negli anni Trenta. Mettendo a confronto l’andamento di alcuni indicatori economici censiti nei periodi 1929-1934 e 2007-2012, spicca il dato sugli investimenti: negli anni Trenta hanno avuto una contrazione del 12,8%, mentre oggi del 27,6%. Peggiore anche il dato sul Pil, con un -5,1% per la crisi del ’29 contro il 6,9% di quello attuale e del Pil pro capite (-8,6% contro -9,4%).

L’Unità 14.04.13

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“CAMUSSO: DOBBIAMO FERMARE LA VALANGA”, di Bianca Di Giovanni

«Un patto dei produttori o no? Per la Cgil è un’ipotesi che affascina se non altro perché di Trentiniana memoria, ne possediamo il copyright». Susanna Camusso interviene, attesissima, all’assise di Confindustria a Torino. Il giorno prima il presidente della piccola industria Vincenzo Boccia aveva lanciato l’idea di un patto per salvare la fabbrica e il lavoro, insomma per l’economia reale. La risposta era affidata al dibattito di ieri, con la partecipazione dei big sindacali: oltre alla leader di Cgil anche Raffaele Bonanni. Ed è puntualmente arrivata. Certo che il sindacato di Di Vittorio non può dirsi contrario a un accordo tra produttori, ma i «paletti» posti da Camusso sono chiari e imprescindibili. –

LA CONTROPROPOSTA Una stagione di collaborazione non può non partire da un riconoscimento dei reciproci ruoli. «Ridefiniamo le parti di ciascuno, rimettiamo in ordine le regole della rappresentanza – continua Camusso – chiudiamo la lunga stagione di strappi e divisioni». Detto proprio qui, a Torino, sede della fabbrica epicentro degli «strappi» sindacali, degli accordi separati, dei non riconoscimenti reciproci, la cosa assume un peso specifico rilevante. Eppure qui Camusso c’è, mentre manca il vertice Fiat uscito da Confindustria, tanto per far capire chi vuole patti e chi no. Certo, il presidente degli industriali Giorgio Squinzi «si augura un rientro in tempi brevi». Ma per ora non si vede nulla. Il fatto è che sono i corpi intermedi ad aver bisogno di una nuova stagione: quei corpi che forse Sergio Marchionne vorrebbe eliminare. Il patto, tuttavia, non si fa a tutti i costi. Non basta la sola evidenza dell’emergenza economica, mai così allarmante, per costruire quel comune sentire che costruisce un’azione univoca. Bisogna anche che ci si chiarisca su priorità e percorsi, sull’effettivo significato di sviluppo e ripresa, per fermare quella che il segretario di Corso Italia definisce «una valanga ingovernabile ». Ecco perché Camusso costruisce un’agenda come contro-proposta al piano per lo sviluppo confezionato dal Centro studi di Confindustria. Non che manchino i punti di contatto, ma è la prospettiva ha connotazioni inevitabilmente diverse. Per la Cgil non si può evitare di partire dall’impoverimento complessivo delle famiglie. Un dato tenuto in troppo poco conto dal governo tecnico. «Si sono pretesi i compiti a casa per essere i primi della classe», è la stilettata a Mario Monti, che pure la Confindustria di oggi condividerebbe. Altro che primi: siamo finiti ultimi. L’approccio va cambiato, individuando i nodi da sciogliere. «Per noi le parole-chiave sono lavoro e fisco, che connesse tra loro pongono il tema della redistribuzione». Questo il punto di partenza che la Cgil avanza. Per gli industriali, naturalmente, tutto parte invece dalla crescita, da nuovi investimenti, da un aumento di liquidità. Giorgio Squinzi, nelle conclusioni, ribadisce la necessità di «utilizzare le risorse europee, un intervento sul credito, una modifica sull’ammortamento dei beni strumentali, information technology e sostegno ai mercati esteri». E non solo: Confindustria chiede di aprire cantieri, grandi e piccoli, chiede di finanziare innovazione e ricerca. Insomma, Camusso pensa prima alle famiglie, Squinzi alle imprese. Sarebbe innaturale il contrario, ma i punti di contatto non mancano, soprattutto sull’abbassamento delle tasse sul lavoro. Chi non vorrebbe meno pressione fiscale su aziende e lavoratori? Anche Camusso ne parla, ricordando che sui bilanci di lavoratori e imprenditori pesa la non restituzione del fiscal drag, pesano le addizionali, e oggi Imu, Tares e aumento dell’Iva. Micce incandescenti. «Con questo non si ricrea la domanda interna»,osserva la sindacalista. Per questo bisogna agire subito per evitare il picco fiscale di giugno e luglio. Gli imprenditori non sono lontani da questa richiesta, anche se su un punto la proposta diverge notevolmente: la creazione della domanda. Confindustria punta alla domanda estera, cioè all’export, che potrebbe fare da propellente per creare ricchezza e solo in un secondo momento ricadere positivamente sulla domanda interna. Per questo Viale dell’Astronomia non si oppone all’aumento Iva (che le imprese esportatrici non pagano) proponendo in cambio un taglio alle tasse sul lavoro. L’ottica della Cgil è naturalmente rovesciata: le famiglie vanno tutelate subito. «E dobbiamo dire chiaramente che non si può chiedere tutto – continua Camusso – Se vogliamo meno tasse sul lavoro, se vogliamo tagliare quella parte di Iva che pesa sugli occupati, dobbiamo spostare il prelievo da un’altra parte. Dobbiamo colpire le rendite e le grandi proprietà, cioè colpire quelli che durante la crisi hanno migliorato la loro posizione». E non basta redistribuire il reddito: per Camusso occorre redistribuire anche il lavoro. Ovvero, favorire i contratti di solidarietà per mantenere un legame dei lavoratori con l’azienda. Senza dimenticare l’istruzione e la ricerca. Le imprese non parlano di rendite, né di nuove tasse sui patrimoni. Eppure si dicono convinte di un possibile percorso condiviso. La pensa così anche Bonanni, il quale batte i pugni sul tavolo per chiedere un governo. «Sentiamo forte la nostra responsabilità, anche di classe dirigente», dichiara Squinzi. Ai sindacati lo unisce l’urgenza di salvare il lavoro, difendere quelle imprese che rischiano di chiudere anche se hanno innovato e investito, di dare un’opportunità ai giovani tenuti ai margini del mondo produttivo. Per questo il presidente confida in un «comune sentire» con le controparti. «siamo dalla stessa parte del tavolo oggi», dicono a Torino. Tutto bene, a patto che a quel tavolo si siedano anche i più poveri.

L’Unità 14.03.13