Senza il Pd non si può immaginare, in un futuro ragionevole, un riscatto dai fasti attuali della destra. Ecco l’elementare ragione per auspicare per il Pd il miglior risultato elettorale, e per rifuggire dall’autolesionismo dell’astensione. Tuttavia così com’è, il Pd non va, e non può fare da sé. («Quante divisioni ha la sinistra?». Moltissime: nel senso del verbo “dividere”.
La bancarotta del governo Prodi ha lasciato nel suo elettorato, più che una delusione politica, un vero rigetto umano. Ignorandola, l’opposizione arriva alla prova europea (e peggio a quella amministrativa) con un’accozzaglia di pretendenti. Fra questi, alcuni si escludono dall’investimento in un rinnovato Partito democratico. È così per la sigla di Ferrero e Diliberto, votata a un massimalismo senza rivoluzione. È così per il populismo “caudillista” dell’Idv, che infilza “banderillas” nei fianchi del Pd per umiliarlo e istupidirlo. All’opposto, Sinistra e libertà e Lista Bonino-Pannella possono partecipare di un intento comune. La prima è oggi un mero cartello da “quorum”. Sarebbe castigata dall’argomento del voto utile, se anche quell’argomento non si fosse logorato nelle scorse elezioni politiche.
Allora buona parte dell’elettorato di sinistra cosiddetta “radicale” trasferì responsabilmente il suo voto sul Pd, e i suoi apparati finirono estromessi dal Parlamento. Il Pd se ne gonfiò un po’: dopo di che non si diede alcuna cura delle aspettative di quell’elettorato, e anzi lo offese con le estorsioni teodem. Sinistra e libertà ha dunque una ragione di fatto, se non di merito, al proprio esame di riparazione: e sia bentornato quel nome, Libertà, così spesso regalato alla destra.
Però Vendola e i suoi sono malamente usciti in minoranza dal congresso di Rifondazione; i Verdi hanno truccato il disastro con una cosmesi congressuale conservatrice; Mussi e Fava hanno scontato in una mezza stagione l’assurdità della scissione dai Ds; e i socialisti hanno pagato un prezzo altissimo al respingimento del Pd e alla propria vanità.
Quanto ai radicali, l’insistenza sulla combutta fra Pdl e Pd e l’orgogliosa pretesa di insediarsi sulle macerie dell’intera partitocrazia lascerebbero poco sperare, se i radicali andassero giudicati sul rumore delle parole, e non sulla tempra personale e sui fatti compiuti. Berlusconi era tramortito quando le purezze “di principio” e le rivalità di bottega massacrarono Prodi e risuscitarono lui, e arrivò il governo delle impronte ai bambini zingari, dei medici delatori, della nutrizione forzata universale, delle ronde, dell’ottimismo e del ciarpame.
Basta e avanza, a un elettore di sinistra, per puntare la sua ultima monetina sugli ingredienti possibili di una sinistra riformatrice e libertaria e ragionevolmente unitaria e un po’ più giovane e disinteressata. Se no, il famoso pluralismo sarà fatto in Italia di una maggioranza autoritaria e forcaiola e una minoranza forcaiola e autoritaria.
da unita.it