Solo una minoranza degli italiani vorrebbe nuove elezioni a breve. La maggior parte auspica la celere formazione di un governo, dividendosi tra chi chiede una «grande coalizione» e chi preferirebbe ancora l’accordo Pd-M5S. Ciononostante, la prospettiva di tornare alle urne continua ad essere all’ordine del giorno. Secondo molti osservatori, anche il nuovo presidente della Repubblica non riuscirà a dipanare la matassa e sarà costretto a indire nuovamente le consultazioni per il Parlamento.
Come si comporterebbero gli elettori in questo caso? Nessuno può saperlo con precisione, in quanto molto conterebbe, ancora una volta, la campagna elettorale. Come si sa, sempre più cittadini elaborano la loro scelta in relazione a quest’ultima. Non a caso, in occasione del voto di febbraio, più di un terzo (35%) degli italiani ha dichiarato di avere formato la propria decisione nell’ultima settimana, influenzati anche dalla propaganda di questo o quel partito. È possibile, tuttavia, avere un’indicazione dell’evoluzione degli orientamenti intervenuti dal momento delle elezioni a oggi, basandosi sulle più recenti inchieste di opinione.
Uno dei trend più significativi, sul quale ci siamo già soffermati, è il progressivo decremento di consensi per il M5S. Dopo avere avuto un forte exploit subito dopo le elezioni, il Movimento di Grillo ha fatto registrare, settimana dopo settimana, una flessione, che si è confermata anche in questi ultimi giorni: il M5S si colloca, per la prima volta, sotto il 24%, con un regresso di quasi il 2% rispetto all’esito del voto di febbraio. Si tratta, beninteso, di una erosione modesta, ma, dato il suo andamento costante nel tempo (solo nell’ultima settimana, si registra un calo dell’1%), significativa di uno stato di insoddisfazione che caratterizza sempre più una parte del seguito di Grillo.
Una larga quota dei consensi persi dal M5S è andata a favore dei partiti maggiori: il Pdl e, specialmente, il Pd. In qualche modo, parrebbe che un segmento dei voti «in libera uscita» giunti a Grillo, motivati spesso dalla protesta, stiano, sulla base dell’esperienza di queste settimane, tornando ai partiti di origine. Il Pd, in particolare, ha visto, rispetto all’esito elettorale, un accrescimento di più del 3% e si attesta oggi poco sotto il 29%. Il buon risultato del partito di Bersani può apparire sorprendente, a fronte dei crescenti conflitti interni e dello scarso successo sin qui dei tentativi del segretario di formare un governo. Con tutta evidenza, questi fattori non hanno impedito il «ritorno» di un certo numero di consensi dati alle elezioni da un verso al M5S (i voti dati a Grillo e tornati oggi al Pd costituiscono l’8% del seguito attuale del partito di Bersani) e dall’altro, in misura però nettamente minore, a Scelta civica di Monti (analogamente, i voti dati a Monti oggi passati al Pd rappresentano il 4% dell’elettorato di quest’ultimo).
Anche il Pdl di Berlusconi fa registrare un aumento di consensi, che il Cavaliere non manca di far rilevare in ogni suo intervento. Oggi il suo partito sfiora il 25%, a fronte di poco meno del 22% ottenuto a febbraio, con un incremento di quasi il 3%. I «nuovi» elettori che oggi scelgono il Pdl provengono da diversi partiti, specie dal centro, ma anche dalle forze minori di centrodestra e dal M5S.
Si assiste dunque a una sorta di polarizzazione dei consensi, con un incremento contemporaneo di entrambe le forze politiche maggiori. Come se gli italiani tornassero a preferire la presenza di due grandi partiti e auspicassero una sorta di semplificazione del quadro politico. Ciò avviene a scapito sia, come si è detto, del M5S, ma anche, in misura rilevante, delle forze collocate nel centro. In particolare, la lista Scelta civica, capeggiata da Mario Monti, subisce un netto arretramento, attestandosi oggi al 6,5%, con un calo, rispetto al risultato elettorale, di quasi due punti. Questo andamento è dovuto, oltre che a una sorta di «delusione» frequentemente sentita nei confronti delle forze di centro, anche al fatto che la comunicazione originata da queste ultime si è, in queste settimane, molto attenuata, se non scomparsa, mentre quella delle due forze politiche maggiori sembra inalterata anche rispetto alla campagna elettorale.
Il quadro di insieme ci comunica uno spostamento di lieve entità, ma di grande importanza, rispetto all’esito del voto di febbraio. Come si ricorderà, quest’ultimo ha visto il centrosinistra prevalere, seppur di poco (0,4%) e conquistare così il decisivo premio di maggioranza alla Camera. Oggi la situazione è all’inverso: secondo i nostri dati, il centrodestra prevale per lo 0,3%. È un esito confermato in diversa misura anche da tutte le altre ricerche pubblicate in questi giorni. Dunque, se queste intenzioni di voto trovassero conferma nei comportamenti effettivi (ma su questi, come si è detto, conta la campagna elettorale) la maggioranza dei deputati sarebbe appannaggio della coalizione guidata da Berlusconi. Ma l’esiguità della differenza da noi rilevata non comporterebbe necessariamente un analogo vantaggio al Senato. Riproducendo probabilmente l’attuale situazione di ingovernabilità. Di qui, una delle prime esigenze della nuova legislatura, sempre ricordata, ma, significativamente, mai attuata: la revisione dell’attuale pessima legge elettorale.
Il Corriere della Sera 13.04.13