Il paese è impaurito, sfiduciato: le imprese chiedono aiuto, troppe famiglie precipitano nella povertà, i giovani sono derubati del futuro. Le elezioni hanno prodotto un quadro di ingovernabilità, eppure c’è assoluto bisogno di un governo che provi finalmente a cambiare rotta.
Il Paese è stremato anche perché la politica si è dimostrata in questi anni sempre più impotente e la seconda Repubblica ha prodotto un vero e proprio collasso del sistema.
Le elezioni hanno prodotto un quadro di ingovernabilità, eppure c’è assoluto bisogno di una riforma della politica, di una stagione costituente, di fare insomma ciò che per vent’anni non si è fatto.
Il governo e le riforme. Due binari distinti, ugualmente necessari. Oppure qualcuno pensa che si possa incidere nell’economia reale, e magari agganciare la ripresa, trascurando questo diffuso sentimento di rifiuto verso la mediazione politica e la stessa rappresentanza? O che si possa domare la tigre di Grillo con un governo di tecnici, di ortodossia europea, di continuo dosaggio tra tagli e incentivi, spending review e laboriose trattative a Bruxelles? Nonostante l’insuccesso elettorale, Pier Luigi Bersani ha avanzato subito dopo le elezioni una proposta politica che muove dalle difficoltà numeriche del Parlamento, ma al tempo stesso sfida tutte le forze parlamentari. Un governo di centrosinistra, che ovviamente dovrà fare i conti con più robusti contrappesi nelle Camere. E un percorso condiviso che, in tempi certi, raggiunga il traguardo della riforma delle istituzioni. A questa proposta finora è stato risposto di no. Per ragioni tattiche. Grillo ha deciso di giocare a favore di Berlusconi: invece di consentire la nascita del governo Bersani (instaurando un rapporto dialettico, sul «modello Sicilia») ha dilatato il potere di interdizione del Cavaliere. Grillo, come Berlusconi, vuole il governissimo Pd-Pdl, seppure per ragioni opposte.
Il leader del centrodestra, per parte sua, ha utilizzato il vantaggio regalatogli dal M5S per cercare di portare la trattativa di governo allo stesso tavolo di quella per il presidente della Repubblica. E così siamo finiti in questo stallo insopportabile. Eppure c’è chi grida, scandalizzato, che la colpa è tutta di Bersani. Il Corriere della Sera è il capofila di questo fronte. Antonio Polito, ieri, è stato perentorio nell’accusa: «La ragione del caos sta nella debolezza della proposta del Pd per uscire dalla crisi». La sola proposta adeguata, manco a dirlo, sarebbe il governissimo Pd-Pdl. Ma chi ha detto che un simile governo avrebbe la forza di fare ciò che oggi serve all’Italia? Non è bastato il modo con il quale Berlusconi ha affondato Monti per chiarire che la compartecipazione al governo sarebbe fonte di incertezze e paralisi, e dunque di un deficit di credibilità anche in Europa? Non è bastato il modo con il quale il Corriere ha puntato negli ultimi anni sulla contrapposizione tra politica e anti-politica per capire che un governissimo sarebbe sotto lo schiaffo di poteri esterni, i quali, all’occorrenza, non hanno remore nel foraggiare le forze anti-sistema?
Si vuole la capitolazione del Pd perché, senza la politica, ci si illude che le fragili forze del capitalismo italiano possano trovare un riscatto. Ma si rendono conto che oggi il Pd – pur con tutti i suoi difetti e le sue innegabili contraddizioni – resta uno dei pilastri su cui si regge l’unità nazionale e la stessa possibilità di rilancio del Paese? Certo, il Pd deve cambiare molte cose. Ma la politica va rigenerata – non azzoppata ulteriormente – se si vuole rilanciare l’economia reale. Ricreare un bipolarismo politica-antipolitica sarebbe come spingere l’Italia al suicidio. I cittadini devono ritrovare la trasparenza delle proposte di governo: devono conoscere cosa propone la sinistra, cosa propone la destra, cosa propongono i Cinquestelle. E i governi devono avere al loro interno un certo grado di omogeneità, anche per presentarsi con efficacia all’esterno.
Non c’è nulla di fazioso, in una simile proposta. Nel ’76 si poteva ancora pensare che «il potere logora chi non ce l’ha». Guidare la crisi oggi, provare a traghettare un Paese in difficoltà, è in tutta evidenza un sacrificio, assai più di quanto non sia una rendita. Peraltro, la proposta del Pd prevede che la guida del processo di riforme – non meno importanti per i cittadini – venga affidata alle forze esterne al governo. I «saggi» nominati dal Presidente hanno dimostrato ieri che un’intesa in quel campo è possibile. Ma occorre tenere distinti i piani. Come occorre distinguere tra governo ed elezione del nuovo Capo dello Stato. Mescolare le cose sarebbe l’inciucio più sgradevole. Perché la politica dimostrerebbe ancora una volta di confondere le scelte opinabili di governo dalle funzioni di garanzia e dalle regole valide per tutti.
L’Unità 13.04.13