Gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro sono stati estesi a tutti, un’indennità è prevista anche per i collaboratori a progetto. Ad oggi non c’è nessuno che, trovandosi senza lavoro, rimane senza aiuto dello Stato. Queste le parole di Berlusconi Porta a Porta. Pannella ha già annunciato da Radio Radicale la fine sine die di tutti gli scioperi della fame e della sete. Franceschini non ha più ragione di invocare salari minimi e sussidi di disoccupazione. L’Italia è un paese meraviglioso e tutti i lavoratori vissero felici e contenti, potremmo aggiungere.
A esser seri, conviene forse dare un’occhiata al discorso di Draghi di venerdì scorso, in cui, al primo punto delle politiche anticrisi poneva l’urgenza di una riforma del mercato del lavoro e del welfare a favore dei lavoratori, prima che delle imprese (se lo dice un banchiere…): “Si stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento”. E aggiunge: “Va colta l’occasione per una riforma organica e rigorosa, che razionalizzi l’insieme degli ammortizzatori sociali esistenti e ne renda più universali i trattamenti”.
Dopo i sindacati, l’opposizione, gli economisti e da ultimo la Confindustria, adesso anche la Banca d’Italia invoca senza mezzi termini una riforma immediata del welfare in senso universalistico. Certo, Draghi dice anche che “opportunamente il Governo ha già incluso tra le misure meccanismi temporanei di sostegno al reddito e ha previsto un intervento sperimentale a favore di una parte dei collaboratori a progetto”. Avrebbe dovuto aggiungere – ma non può dirlo – che alla luce dell’entità della crisi, tali misure si sono rivelate semplicemente ridicole. Come usare un ombrello per resistere a una tromba d’aria. Possiamo aggiungere (Fonte IRES su dati INPS) che almeno 500.000 lavoratori (125.000 collaboratori occasionali, 150.000 associati in partecipazione e 224.974 partite iva senz’albo) e la maggior parte dei collaboratori a progetto in Italia sono attualmente esclusi da qualunque misura di welfare e sono stati tenuti fuori anche dalle recenti misure anti-crisi del Governo. Misure che nulla hanno di strutturale, di organico e di rigoroso, come auspica Draghi, ma risentono semmai di un’antistorica e umiliante concezione per cui il sostegno dello Stato debba intendersi come un’elemosina da mendicare anno per anno piuttosto che un diritto riconosciuto e consolidato. Ma forse ha ragione Berlusconi, in fondo la vita è un balocco.
da L’Unità
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Prima la querelle sul Pil del 2009, poi i silenzi sull’andamento delle entrate. Per finire con quelle sulle misure anticrisi. Ecco tutte le cifre che dividono Via Venti Settembre da Via Nazionale.
Tra Via Venti Settembre e Via Nazionale c’è una lunga trincea di numeri a fare da divisione. Non solo quelli sui licenziati senza tutele, che tutto il governo (non tanto Giulio Tremonti) si ostina a oscurare mentre il governatore ha rivelato senza tentennamenti. Quel milione e 600mila lavoratori senza tutele sono indicati in dettaglio dall’ufficio studi della Banca. Checché ne pensi Berlusconi. Ma le distanze non finiscono qui. In realtà su ogni numero (macroeconomia e soprattutto fisco) le tensioni aumentano, e si faranno sentire ai prossimi incontri internazionali: il G7 finanziario di Lecce (dove il ministro vuole annunciare in pompa magna i suoi global standard per avviare la nuova Bretton Woods) e il G8 di L’Aquila.
Cortocircuito PIL
In questi giorni il Tesoro starebbe aggiornando le tabelle per il prossimo Dpef. Il ministro sarebbe intenzionato a recepire l’indicazione di Mario Draghi sul Pil 2009, che precipita a -5%. Peggio di quel -4,2% scritto un mese e mezzo fa nella Ruef (Relazione unificata) e anche del – 4,7% dell’Fmi considerato troppo pessimista solo qualche settimana fa. Ma sul Pil Tremonti si esercita in continue contorsioni. Si vede che quel dato produce quasi un cortocircuito nella strategia comunicativa di Tremonti. Il ministro era partito infatti dal pessimismo di una crisi senza fondo: su quella base aveva costruito la sua manovra triennale fatta di tagli a gogò. Quando a inizio anno Bankitalia aveva stimato un Pil al -2% il ministro aveva reagito con ironia: «solo congetture». Lo infastidiva quel meno (per il Tesoro si era a zero), e aggiunse che si sarebbe tornati solo al 2006, non al medioevo. Insomma, il pessimismo a questo punto non serviva più. Prima giravolta. Ma la storia ha dato ragione ai pessimisti, che anzi si sono rivelati meno pessimisti del dovuto: oggi si parla tranquillamente di -5. E Tremonti, fidando nella cattiva memoria del pubblico, racconta di aver già detto che quel -2% di gennaio non era corretto. Vero. Solo che lui lo avrebbe corretto in senso contrario. Ancora una volta una virata.
Crisi a saldo zero
Sul Pil, tuttavia, il ministro può farsi scudo con il dato tedesco, molto peggiore del nostro. C’è un altro tema, invece, che irrita il Tesoro e su cui Bankitalia è stata limpida (almeno per gli addetti ai lavori): le misure anticrisi. Il governatore ha usato più volte la stessa formula. ogni misura è stata finanziata con un’altra di segno opposto. Chiaro che il saldo è zero, nonostante i miliardi che a ogni comparsata in Tv i ministri si affannano a elencare, sommando stanziamenti di più anni o spese già stanziate prima della crisi. Bankitalia si è fermata alle carte, che parlano di 0,5% del Pil destinato all’emergenza (bonus famiglia e social card). L’Fmi ha sottratto le risorse non utilizzate, ed è calata allo 0,2% del Pil, il dato più basso in Europa.
Il buco dell’iva
L’irritazione all’Economia dev’essere stata forte. Altrettanto forte di quella sul fisco (di cui Tremonti parla poco). Draghi ha spiegato chiaramente che l’Iva è calata del 10%. molto di più di quanto sia calato il Pil. L’unica ragionevole spiegazione è l’aumento dell’evasione. Che peraltro sarà ancora più accentuato quando si vedranno gli effetti dei nuovi studi di settore: una vera autorizzazione per gli autonomi a pagare quanto si vuole. Ce n’è abbastanza per rinfocolare quelle scintille che da sempre attraversano i rapporti Tesoro-Bankitalia.